Oggi il Km 0 è diventato una locuzione di gran
moda, tutti ne parlano e, se fino a pochi anni fa, tutti avrebbero pensato ad
un automobile nuova ma di prezzo inferiore oggi si pensa in primis alla produzione
alimentare, prova ne da il motore di ricerca più usato al mondo, non c’è bisogno
di indicarlo, seguito via, via da altre declinazioni legate allo stesso
concetto.
La riduzione del
chilometraggio significa filieracorta, ossia un avvicinamento
reale tra produttore e consumatore, non solo a livello di strada percorsa,
con conseguente riduzione delle emissioni di CO2 dovute ai mezzi di
trasporto, ma anche culturale e di conoscenza reciproca, di scambio.
Naturalmente il concetto
non deve essere troppo restrittivo, perché gioco
forza per taluni prodotti, assenti dal territorio, si deve ampliare il
raggio d’azione di rifornimento, ma deve possedere tre elementi intrinseci di
base: la qualità del prodotto, che
comprende anche ottimizzazione dei
trasporti ed equità di diritti
per tutti gli stakeholder partecipi
alla filiera; ottimizzazione delle
risorse in chiave socio-economico-culturale; la conoscenza.
Il consumatore viene coinvolto in
modo consapevole nel percorso di conoscenza culturale del processo produttivo,
del produttore e del prodotto, ossia, si ritorna al rapporto one to one proprio dell’economia da
mercato e da bottega, dove si stabiliva un rapporto
di fiducia fatto di domande e risposte che accresceva la capacità di discernere
la qualità del prodotto.
Oggi tutto questo sembra
una conquista ma è un riappropriarsi di azioni economiche che hanno
accompagnato l’uomo nella sua storia: il recarsi dal produttore a vedere e
sapere cosa si acquista, seguendo il ritmo stagionale e la logica razionale
basata sul rapporto qualità/prezzo/vantaggio economico; il sapere come, dove e
chi produce e quali sono i passaggi della catena produttiva, cosa che oggi si è
andata a perdere; la fiducia nella professionalità, non in una faccia o un nome,
ma nel prodotto realizzato da chi sa produrre attraverso sistemi sostenibili
per la qualità; l’unione di tanti piccoli produttori per avere più forza
economica sul mercato, attraverso scambi ed integrazioni a tutti i livelli di
filiera per avere un miglior prodotto e per aver maggiore scelta, sempre su
logica di qualità; la valorizzazione, o meglio rivalutazione, del lavoro
manuale, dell’azione concreta di saper fare qualcosa, non solo intellettuale ma
manuale, l’artigiano, l’artefice, il professionista che lavora con le sue mani
un prodotto, fattore, oggi, non secondario per riappropriarsi di un’economia sana, vitale ed sostenibile in
autonomia.
Fondamentalmente non si
tratta di una scelta legata ad orizzonti politici e culturali strettamente inseriti
in recinti ben delineati, ma un percorso di riappropriazione del ruolo del consumatore attraverso una logica
razionale di sostenibilità, prima di tutto culturale ed economica, ossia,
si risparmia, migliorando la qualità
della vita, consumando meno, meglio e creando un circolo virtuoso economico
che permette di sopravvivere anche in tempi di crisi, anzi di diventare un
volano di rilancio dell’economia di uno stato.
Sapere cosa si compra,
come si produce, riducendo costi e guadagnando in qualità, attraverso un
processo che mette di nuovo la figura
del consumatore e del produttore sullo stesso piano e in dialogo è una scelta consapevole e sostenibile.
Razionale e misurabile in
concreto con costi e benefici, la cultura, il sapere, la conoscenza è anche, e
soprattutto questo, un beneficio quantificabile su corto, medio e lungo
periodo.
B. Saccagno
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