Oggi si fa un gran parlare di Carbon Neutral,
è da tempo iniziata una vera corsa alla riduzioni delle emissioni di CO2 (o carbonio) da parte di tutte quelle realtà che si vogliono effigiare
della qualifica di green friendly.
Sta diventando una moda ecologica a larga
diffusione, almeno nel mondo che si definisce “industrializzato”, il primo e il secondo mondo.
Ma è poi davvero chiaro a tutti cosa sia e cosa di
debba fare
per combatterlo?
Schema esplicativo effetto serra, da Wikipedia,
voce Effetto Serra
Uno dei grandi e, per
ora, irrisolti problemi che affliggono le società contemporanee è di certo
quello del degrado ambientale, che è una delle prime voci nelle agende
politiche di ogni Stato, o almeno dovrebbe esserlo.
Le condizioni della Terra
stanno peggiorando progressivamente a causa del reiterato, sovradimensionato e
non equilibrato sfruttamento delle risorse naturali, sommato all’insufficiente
tutela del bene comune ambiente.
Il consumismo e
l’inquinamento prodotto dal fattore”uomo” hanno portato alla degenerazione del naturale
processo di riscaldamento solare, tanto da rendere dannoso ciò che di fatto non
lo era.
La crescita senza
controllo delle emissioni inquinanti ha provocato il famoso buco dell’ozono, che, tradotto,
significa un aumento eccessivo della temperatura terrestre globale, ossia, per
fare un esempio chiaro, stiamo come piante, in mancanza di irrigazione, dentro
una serra, a vetri chiari senza schermature, esposte alla cocente canicola
estiva[1].
I principali colpevoli
dell’effetto serra sono tre: il vapor acqueo, il metano e l’anidride carbonica[2],
quest’ultima è appunto l’oggetto dell’obiettivo carbon neutral, o carbon
neutrality.
Fra l’altro, l’anidride
carbonica ha un’ulteriore aggravante: la sua persistenza nell’atmosfera per una
durata stimata di 100 anni (non pochi)[3].
In poche parole stiamo creando
un circolo vizioso pressoché eterno di produzione ed “immagazzinamento” di CO2
e gas nocivi da lasciare in eredità
ai nostri posteri, senza, fra l’altro, riuscire davvero a trovare una soluzione
ottimale e definitiva.
Certo c’è, però, la
volontà di cercare di arginare il problema, seppure in maniera disorganica, né costante
né uniforme, ma è un inizio.
Ma facciamo un passo
indietro.
I cambiamenti climatici e
il surriscaldamento globale hanno forzatamente spinto i paesi industrializzati,
dagli anni ’90 in poi, a fare un punto della situazione per cercare soluzioni
ottimali per arginare il problema, sino ad arrivare a siglare il protocollo di Kyoto, un documento
indicante le linee guida e gli impegni formali che i firmatari avrebbero dovuto
seguire per ridurre almeno il 5% delle emissioni di gas serra dannosi rispetto
al 1990[4]
Come sempre creare
un’intesa unitaria e valevole per tutti è utopia, così, con un abile gioco di
carte, si è stabilito che ci fossero obiettivi diversi a seconda delle nazioni
firmatarie e, come se ciò non bastasse, si sono create delle “stanze di
compensazione” per scambi di quote, che non sono di grande utilità[5]
e assomigliano più ad una pezza
giustificativa a comportamenti inquinanti reiterati che non una reale
ricerca di una soluzione ottimale diffusa e omogenea.
In ogni caso l’obiettivo
era, ed è, ridurre il più possibile le emissioni ad impatto inquinante,
puntando all’ottimizzazione delle risorse e al miglioramento tecnico produttivo
industriale, su tutta la filiera, dalla produzione al consumatore.
Il protocollo è stato in
gran parte disatteso, nemmeno dopo la conferenza
mondiale di Copenaghen[6]
si sono fatti veri e propri passi fondamentali per una linea di attuazione
vincolante e razionale uguale per tutti i paesi e veramente funzionale.
Tornando alla questione carbon neutral, eliminare totalmente
l’anidride carbonica è impossibile, è un dato di fatto, tutti gli esseri
viventi ne producono, e, oltre a ciò, ha vita
lunga, come già detto, ma cercare di limitarne le emissioni è un nostro
dovere.
Senza demonizzare il
bestiame, a cui si scarica volentieri tutta la colpa[7],
vero c’è una crescita eccessiva di armenti perché abbiamo sbilanciato la dieta
troppo sulla bilancia delle carni rosse, noi paesi “ricchi”, dovremmo
cominciare a favorire e a richiedere procedimenti virtuosi a chi di emissioni
inquinanti ne emette in quantità
industriale ogni giorno.
Ovviamente ci dobbiamo
aggiungere la buone prassi individuali, uno da solo non basta ma la somma di
tanti “buoni” comportamenti è quella che davvero modifica lo stato di fatto
esistente. Vi è anche la possibilità di calcolare la quantità di emissioni per
ogni singola famiglia[8],
ma senza arrivare a costrizioni, privazioni e rivoluzioni del nostro modo di
vivere, cosa che, tra l’altro, non è pensabile accada in un batter di ciglia, basterebbe solamente
vivere in maniera razionale ed economicamente sostenibile, come per secoli
l’uomo ha fatto.
Per la produzione
industriale, intendiamo tutte le attività che prevedono un’azione diretta dell’uomo
per la realizzazione di un oggetto, materiale o immateriale, definibile come prodotto.
I passi, per la riduzione
delle emissioni sono essenzialmente: energie rinnovabili, razionalizzazione del
processo produttivo, qualità nel lavoro e nelle scelte delle materie prime,
riciclo diffuso a tutti i livelli, Km 0, e riduzione degli sprechi e dei
comportamenti negativi.
Si traducono, quindi, a
ben vedere in un processo di razionalizzazione economica che tocca tutti i
passaggi industriali, sino al riuso del prodotto, o di parti di esso, in altre
o nuove forme.
Il punto più complesso è
il Km 0, questo vale anche per le famiglie, pensare di ridurre tutto a nulla o
pochi Km da casa non è certo possibile, né pensabile, soprattutto per chi ha
scelto di vivere lontano dalle città, ma si può: utilizzare la
strumentazione internet, cosa che è,
oggi, totalmente attuabile, per ridurre spostamenti non necessari si,
riciclare, trasformare la propria azienda attraverso materiali ecocompatibili,
ridurre rifiuti ed imballi, passare alla energie rinnovabili, assumere
personale locale ed evitare di delocalizzare in parte, meglio ancora in toto, le attività sia per la
produzione sia nell’acquisto e lavorazione, dove è possibile, delle materie
prime.
Senza la necessità di adottare
una certificazione fornita da aziende private[9]
è abbastanza facile comprendere come i comportamenti “virtuosi”, volti a
ridurre il proprio carbon footprint[10],
non sono altro che la razionale organizzazione economica e sociale secondo la
pragmatica razionalità che ha, sino ad un certo punto, contraddistinto l’umanità.
Oggi sembra che il mondo
si stia “davvero” muovendo in questa direzione, anzi già verso un’evoluzione
del processo, come il Carbon Negative
[11],
che attraverso un carbone vegetale prodotto da biomasse, il biocher[12],
dovrebbe addirittura ridurre l’emissione del carbonio stoccando al suolo la Co2,
che rimane immagazzinata e non rilasciata nell’atmosfera.
Una domanda sorge
spontanea, oltre la tanto sottolineata possibilità di scambio di crediti fra
nazioni, ma
questi gas immagazzinati nel suolo che effetti
daranno nel lungo periodo?
Cosa comportano
effettivamente sugli organismi - piante, animali, uomo, ambiente -?
Questo non creerà sul
lungo periodo un ulteriore avvelenamento ambientale?
Tutte domande che
potranno avere risposte solo a posteriori, perché necessitano di un lungo tempo
di verifica e puntuale controllo.
Per ora ci limitiamo a
registrarne l’esistenza, gli studi e le applicazioni sino ad oggi esistenti.
Come lasciamo i puntini
di sospensione su alcune aziende che si definiscono carbon neutral … a voi e agli esperti il giudizio[13].
Biochar – sistema di funzionamento, immagine tratta
Quello che, di assoluto,
si può decretare è che ragionando in termini logici basta usare il buon senso,
a livello sostenibile in tutte le declinazioni possibili.
B. Saccagno
[4] Il protocollo è stato adottato nel 1997 ed entrato in vigore effettivamente
nel 2005, firmato da 141 nazioni. http://europa.eu/legislation_summaries/environment/tackling_climate_change/l28060_it.htm
Testo integrale http://unfccc.int/kyoto_protocol/items/2830.php
[5] http://europa.eu/legislation_summaries/environment/tackling_climate_change/l28012_it.htm,
vedere anche EPCC, non c’è la versione italiana.
[7] http://www.fao.org/newsroom/en/news/2006/1000448/index.html, i Ruminant
Gas Emissions o Greenhouse Gas Emmissions From Animals o
Animal Gaseous Emissions.
[8] http://www.epa.gov/climatechange/emissions/ind_calculator.html,
per il calcolo delle emissioni gas serra della propria famiglia.
[9] http://www.carbonneutral.com/,
ad esempio.
[10] http://www.carbonneutral.com/knowledge-centre/carbon-glossary/,
definizione semplificata.
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