Maurizio Rossi,
archeologo, Direttore e
Conservatore Museo Civico Alpino «Arnaldo Tazzetti» (Usseglio), Direzione
scientifica Antropologia Alpina Centro per la Ricerca e la Documentazione in
Scienze Umane (Torino)
Anna Gattiglia,
archeologa, Conservatore Museo
Civico Alpino «Arnaldo Tazzetti» (Usseglio), Direzione scientifica Antropologia
Alpina Centro per la Ricerca e la Documentazione in Scienze Umane, Cultore
della materia in Archeologia medioevale, Facoltà di Lettere e Filosofia
dell’Università di Torino
Quando si parla di archeologia molti ancora si chiedono
cosa sia o si perdono nell’immaginario cinematografico da XX secolo, perciò non
posso esimermi dal chiedervi di darci la vostra definizione di archeologia.
«I migliori
dizionari dicono che è lo studio delle antiche civiltà mediante lo scavo
archeologico: può sembrare lapalissiano,
ma, in realtà, vi sono troppi archeologi da tavolino, che scrivono i loro libri
o articoli senza vivere in cantiere.
Al tempo stesso la televisione e il cinema
esagerano con gli aspetti avventurosi, tralasciando tutto il sottofondo storico
e scientifico che un archeologo deve avere. In pratica, l'archeologo deve avere
sia un fisico che gli consenta di lavorare in un cantiere, sia la delicatezza e
la pazienza per frequentare laboratori, biblioteche e archivi storici.
L'archeologia, comunque è una scienza, anche se non una scienza esatta, che si
basa sulla sequenza osservazione - problema - ipotesi - esperimento - teoria».
Concordo.
Vi ringrazio per aver ricordato a tutti che l’archeologia
è una scienza, non un hobby divertente, e segue un procedimento scientifico e
analitico rigoroso.
Una nostra conoscenza accademica in comune, “si dice il
peccato e non il peccatore”, diceva a noi studenti che i saperi minimi
dell’archeologo sono, in pratica, tutto lo scibile umano; senza cadere in tali
esagerazioni, seppure una visione a 360° è necessaria, quali caratteristiche si
deve, o si dovrebbe avere, per diventare archeologi?
«Un po' l'abbiamo
già detto rispondendo alla domanda precedente.
Aggiungiamo che bisogna imparare
a esaminare i problemi da tutti i punti di vista, facendo “l'avvocato del
diavolo” contro sé stessi; bisogna imparare a mettersi dal punto di vista dei
propri "pazienti" (le popolazioni del passato, anche recente), che
non sono più in grado di esporre i propri sintomi».
Spesso sento dire che l’archeologo scava “ambienti e
uomini morti” - tanto per giustificare la scarsa importanza del suo ruolo nel
contesto sociale moderno - , in parte è così, però,va ricordato, come, in
realtà, si scavano le tracce lasciate da vivi, che siano luoghi o esseri umani,
che ora non lo sono più ma che sono parte del nostro Dna attuale e futuro .
Da anni si sta discutendo se lasciare in vita o meno gli
ordini professionali esistenti, in questo contesto si inserisce il dibattito,
con posizioni diametralmente opposte, sulla necessità o meno di creare un
ordine professionale per gli archeologi, che li tuteli e valorizzi la loro
professionalità attraverso il peso di un ente di questo tipo, qual è la vostra
opinione in merito?
«L'abolizione degli
ordini professionali che qualcuno ha proposto rientra nella logica
politico-economica che ci ha portati sull'orlo del fallimento: sono le estreme
propaggini della deregulation imposta
da uno che forse avrebbe fatto meglio a continuare a fare l'attore, così come
il suo epigone nostrano avrebbe fatto meglio a continuare a cantare sulle navi
da crociera.
L'istituzione di un ordine degli archeologi, premesso che, data la
nostra età, ormai non ci interessa quasi più, potrebbe solo giovare alla professionalità
e all'assunzione di responsabilità, sia verso il patrimonio archeologico, sia
verso il pubblico».
Archeologia rupestre e mineraria, campi in Italia poco
diffusi, scavi in altura, con tutte le complicazioni connesse e la necessità di
una professionalità di alto livello, perché scegliere di diventare archeologi e
perché proprio in questi settori di nicchia, cosa vi ha spinto e vi spinge
ancora a continuare a lavorare con passione?
«Quando mi ritrovo
sdraiato nel fango o arrampicato su una roccia a strapiombo mi capita sovente
di pensare alla scena finale di Quelli
della “San Pablo”, con Steve McQueen
ferito a morte nel cortile della missione cinese che dice "Ero a casa...
che è successo?... che accidenti è successo?". Almeno lui è riuscito a salvare
Candice Bergen, io al massimo salvo
un petroglifo o un cuneo in acciaio di età medievale.
Parlando
seriamente, io sono un brechtiano, perché
Brecht, in Domande di un lettore operaio, scrive: "Cesare sconfisse
i Galli. Non aveva con sé nemmeno un cuoco?", inoltre sono polibiano, perché
Polibio sostiene la necessità di vedere le cose direttamente (autopsia), infine
sono straboniano, perché Strabone afferma che il geografo non ha bisogno di
occuparsi delle aree non abitate dall'uomo.
In pratica, c'erano già troppi
colleghi che si occupavano dei grandi monumenti e della grande storia, magari
senza toccarli con le proprie mani, per cui ci siamo dedicati all'archeologia
degli "ultimi" cercando di ascoltare voci a cui nessuno aveva
prestato attenzione prima».
L’ascolto delle voci a cui nessuno aveva prestato
attenzione è, fra le infinite sfaccettature dell’archeologia, una di quelle che
preferisco. Ho sempre pensato che grazie all’archeologo anche semplici uomini
comuni o piccoli luoghi in apparenza senza storia alcuna possano conquistare il
loro diritto all’immortalità, sogno atavico di ogni uomo sino dalla” notte dei
tempi”.
Voi siete professionisti di lunga esperienza, non solo in
campo nazionale, conoscete il mondo dell’archeologia, con le sue luci e le sue
ombre, qual è la vostra opinione sul contemporaneo dell’italico suolo?
«Io penso che
l'Italia sia un paese disgraziato, perché avrebbe tutte le possibilità per
eccellere e per far vivere bene i propri cittadini, ma la classe dirigente non
sa scegliere i campi in cui investire.
È una situazione annosa, il disastro
attuale, che non è solo economico e culturale, ma anche morale, risale
probabilmente a prima dell'unità d'Italia. L'unità d'Italia, lo dico dato che
siamo nel 150° anniversario, avrebbe potuto essere un'occasione formidabile, ma
subito dopo averla conseguita è venuto il fascismo.
Grossi problemi sono
l'inadeguatezza dell'istruzione, l'assenza di una lingua nazionale veramente
condivisa da tutti, l'ingerenza della chiesa nello stato e nella morale, senza
contare quello che tutti sanno: corruzione, nepotismo, spese militari assurde,
incapacità di dare all'estero un'immagine seria del nostro paese.
Ricordo due cose
che mi paiono emblematiche. In francese esistono due diversi vocaboli che noi
traduciamo entrambi "cittadino" (citoyen
e citadin) il secondo è chi vive in
città, ma il primo è il cittadino inteso nella sua veste di detentore di
diritti e doveri nei confronti dello stato e della nazione, bisognerebbe che vi
fosse un termine apposito anche in italiano. L 'altra cosa stava in una serie
di tabelle uscite su Newsweek nel
2003, da cui risultava che l’Italia investe in spese militari 1/16 rispetto
agli USA, ma solo 1/59, sempre rispetto agli USA, per la produzione di film: in
pratica, rispetto all’Italia, gli USA investono più nel cinema che nelle armi:
e il cinema è un mezzo molto efficace, economico e pacifico per farsi conoscere
e anche, se proprio lo vuoi, per fare propaganda a sé stessi».
L’Italia, che è uno scrigno di storia, arte e cultura,
non è in grado di trovare la giusta chiave per rendere il suo patrimonio
storico e culturale una fonte di orgoglio capace di produrre reddito e muovere
l’economia; al contrario, anzi, cerca in tutti i modi di distruggerlo,
abbandonarlo e svilirlo.
Quali sono, dal vostro punto di vista privilegiato di
professionisti del settore, i suggerimenti che chi di dovere dovrebbe ascoltare
e cogliere per cambiare lo status di fatto attuale?
«Si potrebbero dire
molte cose: adeguare le leggi, finanziarle, farle rispettare, migliorare
l'istruzione non solo degli archeologi, ma anche del semplice cittadino,
creando un giusto orgoglio nazionale di tipo storico-culturale, creare negli
enti pubblici, negli imprenditori e nel pubblico la consapevolezza che il
patrimonio archeologico può essere innanzitutto una fonte di lavoro e di
reddito...
Ma il vero problema
è a monte e sta nell'ignoranza, da parte dei professionisti dell'economia e
della politica, di una delle leggi fondamentali dell'economia, che impone di
investire sulle risorse del territorio disponibili all'interno della propria
nazione.
L'Italia è quasi priva di materie prime di ogni genere e ha vie di
comunicazione difficili, mentre ha un patrimonio culturale unico al mondo: e
dove hanno sempre investito tutti? sull'industria pesante, scimmiottando
tedeschi, inglesi, francesi e americani, che invece le risorse strategiche,
energetiche, etc. le hanno in casa o
nelle ex-colonie e sono anche messi molto meglio dal punto di vista
delle comunicazioni, via terra, via fiume e via mare».
Sarebbe importante, dal mio punto di vista, ragionare a
livello economico, ossia sul concreto e misurabile, e non su quello
finanziario, cioè su ipotesi future di qualcosa che non esiste e non è detto
che esisterà.
Ragionando sulle risorse, come giustamente avete detto
voi, sarebbe molto più semplice costruire una solida base economica e
produttiva in grado di generare reddito e benessere.
Le riforma universitaria ha cambiato il sistema ma, a mio
avviso, non è riuscita nel suo intento, ha ridotto la preparazione teorica non
riuscendo a compensarla con quella pratica, per allinearsi allo standard
europeo come avrebbe dovuto essere nella realtà. In più, come se tutto questo
non fosse sufficiente, si riducono progressivamente spazio e fondi per la
ricerca, linfa vitale per il domani.
Voi collaborate con l’università, tenete
corsi e siete stati, a suo tempo, studenti, cosa ne pensate del sistema
universitario attuale e della situazione della ricerca in campo archeologico?
«Siamo fuori
dall'Università da troppo tempo per poter dare un giudizio.
Anche ai nostri
tempi, comunque, per fare fruttare gli anni dell'Università bisognava essere
molto motivati, molto critici nei confronti degli insegnanti (che sovente non
erano molto preparati, perché avevano a loro volta seguito corsi troppo
teorici) e pronti a investire molto tempo in attività sul terreno che non
contavano niente per gli esami (io ad esempio in 4 anni ho passato circa 10
mesi in cantiere di scavo).
Bisognerebbe inoltre articolare meglio insegnamento,
ricerca e tutela, sono tre aspetti che non possono essere separati, ma oggi
sono troppo mal definiti e mal integrati.
Ci sono sempre stati docenti che
hanno incominciato a insegnare senza avere fatto ricerca; idem dicasi per i funzionari di soprintendenza, che devono talora
occuparsi di tutelare cose che non conoscono perché non hanno avuto il tempo di
impratichirsi.
Forse ricerca, tutela e insegnamento dovrebbero essere tre
diversi momenti della vita di un archeologo, con l'insegnamento riservato agli
ultimi anni di carriera.
La ricerca è comunque l'aspetto da cui dipende tutto
il resto».
Una delle criticità dell’archeologia è la lentezza, se
non la totale assenza, nella pubblicazione di dati scientifici di scavo ,
spesso dati alle stampe in tempi biblici, con il risultato di essere già
obsoleti prima di diventare libri.
Oggi il self publishing e gli e book offrono
la possibilità di pubblicare a costi irrisori, molto differenti dall’editoria
tradizionale del passato, come ben sapete avendo avuto una piccola casa
editrice scientifica, e in tempo reale, fatta salva la possibilità poi di
pubblicare edizioni curate e analitiche a posteriori.
Secondo voi questo è uno
strumento utile per favorire la conoscenza e la diffusione del sapere e dei
dati scientifici ad ampio raggio e quali sono, invece, le eventuali criticità?
«Sicuramente
l'editoria digitale è una grossa risorsa per l'archeologia, perché diminuisce i
costi tipici delle piccole tirature e permette di pubblicare anche i dati
primari (tipo elenchi di materiali, tabelle descrittive, illustrazioni a
colori), quindi credo che vada utilizzata il più possibile, proprio per ovviare
al problema della lentezza.
Naturalmente il rischio è la perdita di
professionalità: non esistendo un albo o un ordine degli archeologi, in pratica
chiunque può scrivere un libro di archeologia pieno di errori e poi propinarlo
al lettore non professionista, che può non essere in grado di valutare
correttamente un'opera.
Comunque questo succedeva già prima, per cui il problema
non è l'editoria digitale, ma la mancanza di un albo professionale.
Un altro
aspetto utile dell'editoria digitale è quello di poter pubblicare testi
preliminari, che si possono aggiornare o correggere a mano a mano che le
ricerche progrediscono. Non pubblicare del tutto una ricerca è invece un atto
di inaudita gravità, che dovrebbe essere sanzionato.
Nei 16 anni in cui abbiamo
lavorato in Francia abbiamo capito che là, se entro il 15 dicembre non consegni
il tuo rapporto delle operazioni fatte nel corso dell'anno, puoi scordarti di
scavare l'anno dopo, anche se sei un professore della Sorbona: bisognerebbe
applicare la stessa regola anche in Italia.
Proprio in questi giorni stiamo
cercando di "riesumare" uno scavo italiano degli anni '80, i cui
risultati non sono mai stati pubblicati a livello scientifico e solo in parte,
con gravi errori, a livello divulgativo: se il Ministero avesse sospeso lo
stipendio del docente universitario che dirigeva lo scavo, forse quello si
sarebbe dato più da fare per finire il lavoro».
Questo sarebbe di certo un buon sistema per cambiare le
cose (forse per questo poco gradito) e per valorizzare chi svolge il proprio
mestiere con coscienza professionale, rendendo partecipe la comunità
scientifica e il pubblico dei risultati del proprio lavoro e favorendo la
conoscenza e il sapere.
Il Web mette a disposizione strumenti e offre molteplici
possibilità di incontro abbattendo barriere e facilitando l’interscambio e la
comunicazione, quanto può essere utile per lo sviluppo di progetti e per la
promozione delle proprie ricerche ed iniziative?
«Il Web, nel nostro
caso, ci velocizza il lavoro di ricerca bibliografica, documentaria etc., anche se bisogna stare attenti alla
qualità dei dati offerti, ancora più che leggendo un libro.
Per lo sviluppo
pratico trovo che restano però fondamentali i contatti diretti, perché le
ricerche che riescono bene sono quelle in cui ci sono affiatamento, sintonia,
simpatia nel lavoro “gomito a gomito”.
Per la promozione l'utilità è indubbia,
non solo per l'ampiezza e la velocità dei contatti, ma anche per il costo quasi
ridotto a zero».
Voi siete nel comitato scientifico, e Maurizio anche alla
direzione, del Museo Civico Alpino Arnaldo Tazzetti di Usseglio, uno dei
tanti musei sparsi sul territorio italiano che si occupano di tramandare il
passato, promuovere la ricerca e l’educazione alla cultura del passato e,
quindi, del futuro, grazie al lavoro di professionisti che si impegnano, fra
mille difficoltà, a mantenere in vita queste strutture attraverso la
connessione con l’ambiente che li ospita e i visitatori che ad esso si
accostano. Perché i “piccoli” musei sono importanti e per quale ragione devono
essere sostenuti e protetti?
«L'aspetto
fondamentale è il presidio del territorio, in zone dove le istituzioni centrali
non possono arrivare o comunque non direttamente.
Due esempi pratici.
Uno: il
visitatore (che sovente da noi è un turista) arriva in Museo prima di recarsi
sul territorio o dopo di averlo fatto: nel primo caso riceve informazioni e
suggestioni che gli permettono di frequentare il patrimonio storico-ambientale
apprezzandolo meglio e senza danneggiarlo, nel secondo caso è già latore di
problemi che gli sono sorti dalle osservazioni che ha fatto per proprio conto e
in museo trova risposta a queste sue domande.
Due: il museo locale permette di
recuperare oggetti che gli abitanti locali hanno raccolto nel corso della loro
vita o siti che hanno riconosciuto e che senza di loro e senza il museo più
nessuno avrebbe recuperato.
Per la riuscita del museo di Usseglio è stato
fondamentale l'appoggio di ampie parti della popolazione locale.
Questo vale
anche nel campo della lingua e della toponomastica. Il sostegno economico di
cui hanno bisogno i musei del territorio è comunque ridotto rispetto a quello
destinato ai grandi musei.
È chiaro che non puoi rinunciare a sostenere il
Museo Egizio, ma, dati economici alla mano, sono sicuro che alla comunità costa
meno il visitatore del Museo di Usseglio e forse rende anche di più, perché il
museo del territorio cattura un pubblico che non sempre frequenta le grandi mostre».
B. Saccagno
Buon giorno Maurizio,
RispondiEliminaci siamo conosciuti all'apertura degli scavi svoltisi all M. Appareglio (Ivrea).
A un raduno della Svapa, svoltosi a Nus Ao. circa una ventina di anni addietro, acquistai il Suo libro "la grotta del Mian".
Due righe perché ho sempre approvato la Sua severità su datazione delle incisioni r.
Sarei onorato di ascoltare qualche Suo consiglio.
Cordialmente G. G.
FB: giorgio gambino(zanguól)
375 5086243