Oltre il limite del
paradosso è stato dichiarato che non sarebbero aumentate le tasse ma l’IVA
sarebbe cresciuta di un punto percentuale.
Se è pur vero che una
sottile differenza fra tassa ed imposta[1]
esiste, ossia la prima è dovuta solo se si usufruisce di un servizio fornito da un ente pubblico,
mentre la seconda è “l’espressione
classica del potere di imposizione, in quanto per la sua struttura semplice può
essere riferita a ogni tipo di presupposto economico ed essere utilizzata
secondo ogni esigenza politica o economica del paese.”[2],
si possono ascrivere alla medesima categoria: “tributi” da versare allo Stato.
L’imposta, poi, è più
incisiva di una tassa, poiché viene pagata obbligatoriamente da tutti i
consumatori, e qui ritorniamo all’IVA, l’imposta
sul valore aggiunto, che ricade su ogni singola operazione che regola la
nostra vita di consumatori, tutti i giorni, per tutta la vita.
Infatti l’IVA tassa il
consumo di beni e servizi a tutti i livelli, con una piccola differenza, i soggetti passivi di diritto, genericamente, non sopportano il costo dell’IVA, perché
viene scaricata in vari passaggi, i consumatori finali, invece, se ne
accollano, senza possibilità di scampo, tutto il costo finale, qualunque sia
l’entità dell’acquisto[3].
Da questo si può dedurre che
l’IVA è un’impostaindiretta, ossia è automaticamente parte del costo totale di un prodotto o
di un servizio che il consumatore finale va ad acquistare, senza la possibilità
di detrazione alcuna.
Di fatto è il valore
aggiunto che il bene o il servizio in questione acquista ad ogni passaggio,
dalla sua forma primaria sino alla vendita al dettaglio, aggiungendo un valore,
che nella filiera dei soggetti passivi viene scaricato, sino ad arrivare
all’ultimo anello che si accolla tutto il valore aggiunto al costo d’acquisto[4].
Aumentando di un punto,
che, a prima vista, pare una piccola inezia, in realtà si accresce in
automatico a dismisura il costo della vita paralizzando di fatto i consumi, e
di conseguenza l’economia, in trasversale, dalla cima alla valle.
Colpendo i beni primari e
tutti i servizi che sono necessari per una vita dignitosa si va, di fatto, a contrarre la quantità disponibile di denaro
per l’acquisto di beni secondari e per il risparmio, molto spesso accumulato in
vista di spese di maggiore importanza.
Meno denaro significa
meno consumi e questo genera un effetto a valanga che travolge anche tutti i
produttori di beni e servizi.
Questi sono costretti a
contrarre la produzione e ad aumentare il costo finale che il consumatore non è
più in grado di sostenere e, così facendo, di fatto, si paralizza il sistema
economico, con risultati ben lontani dal positivo.
Aumentando di un punto
percentuale l’IVA ben difficilmente si arriverà a raggiungere una quota
consistente del gettito ipotizzato per l’introito dello Stato, così come non si
favorirà la circolazione della moneta né la rimessa in moto del sistema
produttivo nazionale.
Da sempre si chiede un
sistema che permetta uno scarico parziale dell’IVA anche per il consumatore
finale ma, senza arrivare a questo, sarebbe più semplice ridurre i punti
percentuali a vantaggio dei consumi, come richiedono, per altro a gran voce, i consumatori
e le imprese stesse; con prezzi più bassi, pur con salari senza adeguamenti al
costo della vita attuale, si aumenterebbe di fatto la capacità di spesa dei
cittadini e si ridurrebbe il costo dell’acquisto delle materie prime e del
lavoro per i produttori.
Concretamente se lo
stipendio rimane fisso, o peggio se si perde il lavoro senza possibilità di
reintegro, ma tutto ciò che alimenta l’esistenza quotidiana aumenta di un punto
percentuale i cittadini si vedranno costretti a contrarre i consumi, a
richiedere maggiori sostegni al reddito o a non riuscire a mantenere fede ai
pagamenti e questo ricade pesantemente sulle vendite e sulla produzione.
Su periodi medi e lunghi
diventa un sistema insostenibile che si inceppa per poi rompersi
definitivamente, generando una spirale negativa senza uscita.
B. Saccagno
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