L’economia è un cerchio, un circolo che se virtuoso permette ad un
territorio di crescere a ritmi elevati, forse non sempre sostenibili ma che offre
a tutti, o quasi, la possibilità di costruirsi una vita accettabile, se non
migliore.
L’anello ruota intorno al lavoro
e all’uomo, semplicemente: si crea
il lavoro, si produce, si riceve un corrispettivo, equo, per la prestazione
lavorativa, si rimette in circolo il denaro attraverso, non solo il pagamento
di imposte e tasse, ma l’acquisto di beni e servizi, ovviamente oltre i bisogni
primari.
Si consuma, si riproduce,
si compera e così via. All’infinito, si rotola.
In un sistema razionale
poi vi è un equilibrio (o almeno lo
si ricerca) nelle variabili sfruttamento/
produzione/ consumo delle risorse,
comprese quelle umane, ad esempio i giovani, che dovrebbero entrare nel mondo
del lavoro presto, e le donne, avendo pari dignità e peso nella catena
produttiva, così si potrebbe agevolmente contribuire al sostentamento delle
quote pensionistiche di chi è uscito dal lavoro, giustamente, per età avanzata.
Si aggiunga valore alla meritocrazia,
tasto dolente italico.
Il sistema economico si
ossigena attraverso i supporti, non
solo economici ma soprattutto legislativi e di snellimento burocratico, che lo Stato riesce a dare ad imprese e
cittadini per far girare, come l’acqua, la ruota.
Prosaicamente
in periodi di crisi non s’inasprisce, come ora, la tassazione
dell’indispensabile né si paralizza di fatto l’accesso al credito, né si
lasciano inalterate burocrazie imperiali d’altri tempi che allontanano gli investitori:
questo è il vero problema, non di certo, o non esclusivamente, il tanto
pubblicizzato articolo 18.
In questo momento la pressione fiscale è aumentata a
dismisura, e non ci vogliono grandi esperti per stilare salassi non equamente
distribuiti, con il solo risultato di raggranellare nel brevissimo una cifra
stimata “all’incirca”, nemmeno poi così elevata, paralizzando, però, l’intero
sistema economico con il conseguente depauperamento
di tutto il territorio, questo su medio
lungo periodo.
Alzando Iva, imposte e
tasse, dirette ed indirette, si alleggeriscono le già scarse entrate delle famiglie italiane, che faticano
a trovare un lavoro, perché le aziende non assumono e non offrono retribuzioni
adeguate né sicurezza del posto di lavoro, di per sé già notevolmente
flessibile.
La disoccupazione, poi, colpisce le fasce deboli, donne, giovani e
anziani, ormai l’età pensionabile è stata spostata ad una soglia da “casa di
riposo”, a questi si aggiungono i cassaintegrati e il quadro si fa desolante.
Le entrate diminuiscono,
le spese fisse, i costi vivi, aumentano riducendo il paniere e assottigliando il potere d’acquisto.
Tutto questo ricade nel
cerchio, ossia sulle aziende e sui professionisti uninominali, definiti
imprenditori, direi forzati, o più concretamente partite Iva caldamente
suggerite per evitare assunzioni reali.
Trasformarsi in uno Stato
“venditore”, di servizi e beni non durevoli e superficiali, riducendo il Welfare
e cancellando il lavoro e il saper fare, è la via per fare della crisi una
situazione cristallizzata nel tempo e non un periodo temporaneo, in cui, fra
l’altro si dovrebbe dare spazio agli stimoli
e alla creatività, potenziando e premiando il lavoro e chi ne crea, soprattutto se innovativo: non ostacolarlo.
B. Saccagno
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