Tutti sanno che il cibo è
salute.
Una corretta
alimentazione e una costante attività fisica sono la miglior cura preventiva
per ridurre i rischi di malattie gravi.
Le
campagne pubblicitarie per la promozione dei corretti stili di vita (come ad
esempio la rete europea Salus o il programma “Guadagnare Salute” del Ministero della Salute) puntano sia a migliorare la salute dei
singoli cittadini, sia al contenimento dei costi sanitari, perché prevenire è meglio che curare, dice il
proverbio, e, elemento non secondario, costa meno.
L’informazione, la
conoscenza e l’attenzione alla salute sono argomenti che dovrebbero essere in
cima alle priorità delle agende governative e della vita dei singoli cittadini,
visto che l’alimentazione è vita e salute.
Però, la questione da
affrontare è un’altra, la corretta alimentazione è inversamente proporzionale
alla ricchezza economica di una popolazione.
Fra
Medioevo ed età Moderna la gotta era
la malattia del benessere, i ricchi per dare sfoggio del denaro posseduto
s’ingozzavano di carni, salse, cibi elaborati e vini in quantità esagerata,
mentre i poveri si nutrivano di cibi più sani, quelli che oggi sono stati
rivalutati e sono di gran moda, ma in quantità troppo esigua per un’alimentazione
adeguata agli sforzi fisici a cui erano costretti o troppo monotematica.
Nel contemporaneo chi ha
redditi più elevati può permettersi una sana alimentazione, i migliori alimenti
per la salute, frutta e verdura biologica, di cucinare ricette semplici ma con
ingredienti eccelsi (quelli dei poveri di un tempo…) e sostenere i costi di
un’attività fisica continuativa nelle strutture attrezzate.
Per tutti gli altri, una
rilevante fetta della popolazione, è molto difficile potersi alimentare
correttamente.
I costi per il cibo sono
lievitati, anche se di stagione, e la riduzione del budget famigliare costringe al risparmio, spesso scegliendo prodotti
meno genuini, meno sicuri, poco controllati e con una filiera non sempre
trasparente.
La riduzione dei costi
genera una spirale negativa su un asse temporale di lungo periodo: la qualità è
sacrificata in nome di un risparmio fittizio, si seguono abitudini alimentari
errate e i rischi di malattia crescono in maniera esponenziale.
Alcun icibi escono dalla dieta quotidiana, i pasti diventano più monotematici e l’alimentazione
al risparmio aumenta l’apporto di componenti dannose per l’organismo, ad
esempio l’eccessiva presenza di grassi e di zuccheri, con un conseguente
aumento delle malattie, l’obesità
in primis.
Una delle malattie
croniche più diffuse, insieme al diabete, negli strati più poveri dei paesi
ricchi di oggi (basti pensare, ad esempio, agli Stati Uniti dove si fa largoconsumo del burro di arachidi o del fast
food,ricchi di grassi e zuccheri, economici e capaci di saziare).
Il punto
nodale da risolvere è proprio questo: è necessario garantire un accesso equo e
diffuso ai cibi di qualità, per favorire la corretta alimentazione a tutti i
livelli, riducendo la spesa sanitaria pubblica, di conseguenza, quella dei
privati cittadini e le incidenze delle malattie croniche e gravi.
Si stanno facendo molti
passi in questa direzione, ma non basta, la diffusione del biologico e del km 0 sono trend in crescita,
purtroppo questa micro economia non è sostenuta in maniera sufficiente dalle
politiche governative a sostegno della crescita e dello sviluppo.
Bisogna trovare il giusto
equilibrio fra qualità e prezzo e creare una cultura del cibo, la conoscenza
dei prodotti, favorendo il rapporto
fiduciario diretto fra produttori, venditori ed acquirenti.
Le governance dovrebbero impegnarsi a premiare, in modo trasparente e
meritocratico, le imprese che utilizzano ingredienti i di qualità per i loro
prodotti, riducendo le sostanze non salutari per il nostro organismo (grassi,
zuccheri, coloranti, conservanti, etc)
e che seguono un percorso di filiera sostenibile, non solo premiandole con
sgravi fiscali ma con campagne di promozione culturale mirate, dirette ad
educare il consumatore nella scelta consapevole.
Bisognerebbe, poi,
semplificare maggiormente le etichette,
i caratteri sono piccoli, le indicazioni sono distribuite sulla confezione in
maniera disomogenea, ci va molto tempo per leggerle e confrontarle. Le
etichette dovrebbero esser scritte in caratteri più grandi e andrebbero
sottolineati in chiaro gli elementi meno salutari.
Se ci fosse una volontà
precisa, a livello nazionale e sovranazionale, di sostenere appieno la qualità
e la salute, sarebbe più semplice uniformare la comunicazione attraverso
iniziative a larga scala che valorizzano le aziende virtuose e sostengono il
consumo intelligente.
Promuovere la cultura economica
della salute, favorire l’economia sostenibile, in primo luogo nazionale, e
ridurre i costi in trasversale sarebbero i primi passi per attuare politiche di
prevenzione e di salute diffuse.
L’unità di intenti, la
conoscenza e la trasparenza, supportate da tutti gli attori in campo, andrebbero
a discapito delle aziende meno virtuose, a cui non si chiede di sparire dal
mercato ma di migliorare la qualità dei loro prodotti.
La cultura dell’alimentazione
e della salute (sapere cosa si mangia, da dove viene, la stagionalità, il
fabbisogno giornaliero, come sono prodotti, etc),
usando un linguaggio chiaro, diretto e più attrattivo, e un’equa politica
qualità/prezzo sono i punti chiave per realizzare una buona economia di tutto
il comparto sociale, sanitario e agro alimentare di un territorio.
B. Saccagno
La salute degli italiani nei dati
del Centro Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute
(CNEPS) Atti delconvegno a cura dell’ISS, a cura di E. C. Appelgren, P. Luzi, Roma, 16-17giugno 2011.
Linee Guida per una correttaalimentazione,
pubblicato da INRAN (Istituto Nazionale di Ricerca sugli Alimenti e la
Nutrizione)
Alimentazione corretta per la prevenzionedei tumori pubblicato da AIRC (Associazione Italiana Ricerca contro il Cancro)
Obesità
e diabete:
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