Designer e Presidente Up Design,
Definire in modo
univoco il vocabolo “Design” è quasi
impossibile.
Esistono molteplici
definizioni del termine, si può dire che ogni designer abbia la propria. Qual è la sua?
«Sono di parere differente.
Il termine “design” ha un solo significato che in italiano corrisponde a “progetto”.
“Progetto” significa analisi e sintesi.
Se questa formula
viene applicata, come i grandi maestri del design
sapientemente hanno fatto, anche oggi la natura di questo termine mantiene il suo
significato intrinseco».
Design e Sostenibilità, qual è, se esiste, il rapporto fra i due?
«”Sostenibilità” è un termine abusato: non
è sufficiente fare una sedia in cartone se poi non si rispettano gli elementari
concetti di durabilità di un prodotto.
Un buon design
è già di per sé sostenibile perché: se design
significa “progetto”, il progetto in sé è finalizzato all’ottimizzazione
dello stesso.
Semmai è l'abuso di uno stile inutile,
forzato ed immaturo a rendere un prodotto non sostenibile».
Per molti gli oggetti
di design sono opere d’arte destinate
a clienti ad alto potere d’acquisto, è davvero così, oppure il design è a portata di tutti?
«Il design
è nel rotolo della carta igienica; il design
è in un calzino; il design è in un
guanto in lattice per proteggere le mani della signora che lava i piatti; il design è anche nell’utilizzo di una
pelle pregiata per sellare il sedile di un’automobile di lusso.
Non confonderei l’arte con il design: l’artista fortunatamente (o
meno) si può permettere il lusso di collegare la mano solo al cuore, il designer, invece, al cuore deve
aggiungere anche il cervello.
Non vorrei essere frainteso: non voglio
definire l'artista un pazzo, ma un poeta che non ha a che fare con la crudeltà
della serialità dei prodotti da distribuzione».
Questo
è interessante, perché pochi pensano che il design
industriale è, di fatto, in ogni oggetto che tocchiamo; perché secondo lei
manca la cultura del design come “l'oggetto
utile che utilizziamo tutti i giorni”?
A me
pare un gap culturale molto italiano
ma, forse, da profana sbaglio.
«Fare il “designer” e dire “sono un
designer” è “figo”.
Fortunatamente oggi è più “figo” dire: “faccio marketing o comunicazione”.
Certo, manca una giusta educazione per
affrontare il tema della quotidianità e dell’individuazione dei bisogni dell’utilizzatore.
Ho appena 40 anni e non voglio fare il
saccente e nemmeno il “vecchione”, ma
mi duole imbattermi in un fiume di “matitari”.
Si pensa al design come ad un’applicazione dedicata solo agli oggetti “fighi”, non a caso è sempre più comune
dire: “questo è un oggetto di design”.
Design
non è esclusività ma, come detto prima, design
è tutto ciò che viene costruito.
La grande differenza è tra un prodotto con
un design ben sviluppato ed un
prodotto con un design superficiale, forzato
e che, quindi, non è affrontato con i requisiti elementari che rispondono ai
concetti di: essenzialità, ergonomia, etc.».
Secondo la sua
personale esperienza quali sono le doti essenziali che, oggi, un designer deve avere?
«Prima di parlare di doti, parlerei di
“dote”.
Mi spiego meglio.
Quando si presenta un giovane designer per il colloquio, dopo 5 anni
di Liceo e 5 di Università (sono già passati almeno 10 anni), gli dico: “Bene, mi fa vedere che cosa ha fatto in
questi 10 anni?”.
Ed è qui il primo indicatore per definire
un designer o un millantatore.
Il designer
è colui che con estrema passione ti racconta e ti fa vedere decine di “progettini”
più o meno validi, ma narrati con passione e, soprattutto, non strettamente legati
a progetti dettati dal “maestro-professore” durante gli anni accademici.
Sono progetti, intuizioni, passioni,
appuntati nell’arco della sua carriera scolastica e di vita.
Sono appunti che inconsapevolmente
descrivono la sua personalità.
Poi, c'è il millantatore che è facilmente
stanabile; questa categoria si presenta con una dote così definita: “4 esami di progettazione all’Università?”
Significano 4 progetti.
“3-4
progetti al Liceo?”
Si tratta di lavori strettamente legati ai “compiti
a casa”.
In conclusione, un designer non esegue i compiti.
Un designer
per esprimersi non distingue le ore di lavoro o di scuola, ma si identifica
come designer in tutte le 24 ore
della sua giornata».
Il designer è, per me, un creativo puro,
che immagina il domani in anticipo e crea progetti innovativi, ma, per realizzare
le sue “visioni” ha bisogno di un buon team
di lavoro che lo aiuti a far diventare l’idea realtà.
Qual è il valore
aggiunto che un’équipe capace di
lavorare in sinergia dà all’azienda ed ai suoi prodotti?
«Formare una buona équipe di lavoro non credo sia solo difficile, ma addirittura
impossibile.
Per questi motivi: innanzitutto, bisogna trovare
chi è disposto ad aiutarti a concretizzare le tue idee, e lo si trova “con il lanternino”; i giovani di bottega li
pagherei a “peso d'oro”, quando ne
trovi uno è come se incontrassi più di un amico,
perché è disposto a dare il massimo e spesso a restare in ombra.
Per risponderle, devo ammettere che io,
Umberto Palermo, da solo non avrei potuto ottenere questi risultati.
Dovrò sempre dire grazie dapprima a chi ha
rischiato con me, lasciando il posto sicuro per imbattersi nell’imprenditoria,
rischiando di non poter pagare il mutuo della casa, e, in secondo luogo, i miei
più stretti collaboratori che hanno saputo non solo “sopportare” il mio aspetto
caratteriale - che non nascondo, a volte, possa diventare insopportabile - ma, anche,
supportare un mio personale sogno, che spero
possa diventare il sogno di Up-Design:
affermarsi e portare milioni dei nostri oggetti nelle case della gente, siano
essi boilers, camion o auto di lusso».
Up Design ha fatto un passo in più: dall’ideazione alla produzione,
seguendo tutta la filiera.
Una scelta coraggiosa
visti i tempi contingenti, quali sono i motivi che l’hanno spinta ad
intraprendere questa strada?
«Grazie per il “coraggioso”, ma, forse, è
intervenuta anche un po’ di incoscienza.
È giusto e corretto offrire servizi per
altre aziende, ma è fondamentale anche alimentare i nostri sogni.
Ossia, credo sia indispensabile occuparsi
di servizi per importanti brand, ma, per
ri-alimentare e rispolverare il fatidico made
in Italy, dobbiamo lavorare molto sul concetto di artigianato tecnologico. Sempre
di più noi italiani siamo apprezzati nel mondo per prodotti di nicchia
innovativi.
Il mio è un inizio di percorso inerente ai prodotti
firmati Officine Up Design.
Il successo di questa iniziativa dipenderà
dal momento in cui riuscirò con il mio team
a produrre e a vendere su larga scala oggetti intelligenti ed estremamente
democratici».
In Italia è sempre
più difficile fare impresa, così come essere competitivi sui mercati
internazionali, eppure, come anche lei con Up
Design ci dimostra, nonostante tutto è possibile.
Qual è la sua ricetta
segreta per riuscirci e quali migliorie andrebbero fatte nell’immediato per
aiutare le aziende italiane a crescere?
«Intanto ciò che si guadagna non deve
finire nel conto privato, ma deve essere totalmente reinvestito nell’azienda: non c'è più il "grasso che colava" negli anni ‘80.
Mi faccio il “segno della croce” tutti i
giorni e mi sveglio, a volte, anche con gli incubi. Perché anche io vivo sul
pianeta Terra e sono permeabile alla crisi.
Diversificare, avere l’umiltà di saper
ascoltare le esigenze delle aziende, non imporsi, essere meno “archistar”: questa, secondo me, può
essere una buona ricetta».
Qual è il prodotto
che ha realizzato e le ha dato, ad ora, le più grandi soddisfazioni, e per
quali motivi?
«I prodotti disegnati per AristonThermo rappresentano un fiore all'occhiello, perché, grazie ad essi,
ora possiamo definire gli scaldaacqua non più semplicemente boiler ma acqua-arredo.
La macchina del caffè
Illyfor Hotpoint, che ha saputo rispondere egregiamente all’esigenza salva-spazio,
perché viene appesa al muro.
La spider Era
presentata al Salone di Ginevra 2009, per
l'essenzialità delle sue forme. Era è
stata segnalata dal NY Times per l’eleganza
e l'italianità».
Infine quali sono i
suoi progetti per il futuro prossimo e cosa augura ad Up Design?
«Nel futuro spero di
riuscire a concretizzare con un buon volume d’affari la linea di prodotti firmati
Up-Design.
Auguro alla mia azienda di esserci fra 30
anni».
B. Saccagno
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