mercoledì 16 luglio 2014

Intervista a Umberto Palermo




Designer e Presidente Up Design,



Definire in modo univoco il vocabolo “Design” è quasi impossibile.
Esistono molteplici definizioni del termine, si può dire che ogni designer abbia la propria. Qual è la sua?

«Sono di parere differente.
Il termine “design” ha un solo significato che in italiano corrisponde a “progetto”.
“Progetto” significa analisi e sintesi.
Se questa formula viene applicata, come i grandi maestri del design sapientemente hanno fatto, anche oggi la natura di questo termine mantiene il suo significato intrinseco».

Design e Sostenibilità, qual è, se esiste, il rapporto fra i due?

«”Sostenibilità” è un termine abusato: non è sufficiente fare una sedia in cartone se poi non si rispettano gli elementari concetti di durabilità di un prodotto.
Un buon design è già di per sé sostenibile perché: se design significa “progetto”, il progetto in sé è finalizzato all’ottimizzazione dello stesso.
Semmai è l'abuso di uno stile inutile, forzato ed immaturo a rendere un prodotto non sostenibile».

Per molti gli oggetti di design sono opere d’arte destinate a clienti ad alto potere d’acquisto, è davvero così, oppure il design è a portata di tutti?

«Il design è nel rotolo della carta igienica; il design è in un calzino; il design è in un guanto in lattice per proteggere le mani della signora che lava i piatti; il design è anche nell’utilizzo di una pelle pregiata per sellare il sedile di un’automobile di lusso.
Non confonderei l’arte con il design: l’artista fortunatamente (o meno) si può permettere il lusso di collegare la mano solo al cuore, il designer, invece, al cuore deve aggiungere anche il cervello.
Non vorrei essere frainteso: non voglio definire l'artista un pazzo, ma un poeta che non ha a che fare con la crudeltà della serialità dei prodotti da distribuzione».

Questo è interessante, perché pochi pensano che il design industriale è, di fatto, in ogni oggetto che tocchiamo; perché secondo lei manca la cultura del design come “l'oggetto utile che utilizziamo tutti i giorni”?
A me pare un gap culturale molto italiano ma, forse, da profana sbaglio.

«Fare il “designer” e dire “sono un designer” è “figo”.
Fortunatamente oggi è più “figo” dire: “faccio marketing o comunicazione”.
Certo, manca una giusta educazione per affrontare il tema della quotidianità e dell’individuazione dei bisogni dell’utilizzatore.
Ho appena 40 anni e non voglio fare il saccente e nemmeno il “vecchione”, ma mi duole imbattermi in un fiume di “matitari”.
Si pensa al design come ad un’applicazione dedicata solo agli oggetti “fighi”, non a caso è sempre più comune dire: “questo è un oggetto di design”.
Design non è esclusività ma, come detto prima, design è tutto ciò che viene costruito.
La grande differenza è tra un prodotto con un design ben sviluppato ed un prodotto con un design superficiale, forzato e che, quindi, non è affrontato con i requisiti elementari che rispondono ai concetti di: essenzialità, ergonomia, etc.».

Secondo la sua personale esperienza quali sono le doti essenziali che, oggi, un designer deve avere?

«Prima di parlare di doti, parlerei di “dote”.
Mi spiego meglio.
Quando si presenta un giovane designer per il colloquio, dopo 5 anni di Liceo e 5 di Università (sono già passati almeno 10 anni), gli dico: “Bene, mi fa vedere che cosa ha fatto in questi 10 anni?”.
Ed è qui il primo indicatore per definire un designer o un millantatore.
Il designer è colui che con estrema passione ti racconta e ti fa vedere decine di “progettini” più o meno validi, ma narrati con passione e, soprattutto, non strettamente legati a progetti dettati dal “maestro-professore” durante gli anni accademici.
Sono progetti, intuizioni, passioni, appuntati nell’arco della sua carriera scolastica e di vita.
Sono appunti che inconsapevolmente descrivono la sua personalità.
Poi, c'è il millantatore che è facilmente stanabile; questa categoria si presenta con una dote così definita: “4 esami di progettazione all’Università?
Significano 4 progetti.
3-4 progetti al Liceo?
Si tratta di lavori strettamente legati ai “compiti a casa”.
In conclusione, un designer non esegue i compiti.
Un designer per esprimersi non distingue le ore di lavoro o di scuola, ma si identifica come designer in tutte le 24 ore della sua giornata».

Il designer è, per me, un creativo puro, che immagina il domani in anticipo e crea progetti innovativi, ma, per realizzare le sue “visioni” ha bisogno di un buon team di lavoro che lo aiuti a far diventare l’idea realtà.
Qual è il valore aggiunto che un’équipe capace di lavorare in sinergia dà all’azienda ed ai suoi prodotti?

«Formare una buona équipe di lavoro non credo sia solo difficile, ma addirittura impossibile.
Per questi motivi: innanzitutto, bisogna trovare chi è disposto ad aiutarti a concretizzare le tue idee, e lo si trova “con il lanternino”; i giovani di bottega li pagherei a “peso d'oro”, quando ne trovi uno è come se incontrassi più di un amico, perché è disposto a dare il massimo e spesso a restare in ombra.
Per risponderle, devo ammettere che io, Umberto Palermo, da solo non avrei potuto ottenere questi risultati.
Dovrò sempre dire grazie dapprima a chi ha rischiato con me, lasciando il posto sicuro per imbattersi nell’imprenditoria, rischiando di non poter pagare il mutuo della casa, e, in secondo luogo, i miei più stretti collaboratori che hanno saputo non solo “sopportare” il mio aspetto caratteriale - che non nascondo, a volte, possa diventare insopportabile - ma, anche, supportare un mio personale sogno, che spero possa diventare il sogno di Up-Design: affermarsi e portare milioni dei nostri oggetti nelle case della gente, siano essi boilers, camion o auto di lusso».

Up Design ha fatto un passo in più: dall’ideazione alla produzione, seguendo tutta la filiera.
Una scelta coraggiosa visti i tempi contingenti, quali sono i motivi che l’hanno spinta ad intraprendere questa strada?

«Grazie per il “coraggioso”, ma, forse, è intervenuta anche un po’ di incoscienza.
È giusto e corretto offrire servizi per altre aziende, ma è fondamentale anche alimentare i nostri sogni.
Ossia, credo sia indispensabile occuparsi di servizi per importanti brand, ma, per ri-alimentare e rispolverare il fatidico made in Italy, dobbiamo lavorare molto sul concetto di artigianato tecnologico. Sempre di più noi italiani siamo apprezzati nel mondo per prodotti di nicchia innovativi.
Il mio è un inizio di percorso inerente ai prodotti firmati Officine Up Design.
Il successo di questa iniziativa dipenderà dal momento in cui riuscirò con il mio team a produrre e a vendere su larga scala oggetti intelligenti ed estremamente democratici».

In Italia è sempre più difficile fare impresa, così come essere competitivi sui mercati internazionali, eppure, come anche lei con Up Design ci dimostra, nonostante tutto è possibile.
Qual è la sua ricetta segreta per riuscirci e quali migliorie andrebbero fatte nell’immediato per aiutare le aziende italiane a crescere?

«Intanto ciò che si guadagna non deve finire nel conto privato, ma deve essere totalmente reinvestito nell’azienda: non c'è più il "grasso che colava" negli anni ‘80.
Mi faccio il “segno della croce” tutti i giorni e mi sveglio, a volte, anche con gli incubi. Perché anche io vivo sul pianeta Terra e sono permeabile alla crisi.
Diversificare, avere l’umiltà di saper ascoltare le esigenze delle aziende, non imporsi, essere meno “archistar”: questa, secondo me, può essere una buona ricetta».

Qual è il prodotto che ha realizzato e le ha dato, ad ora, le più grandi soddisfazioni, e per quali motivi?

«I prodotti disegnati per AristonThermo rappresentano un fiore all'occhiello, perché, grazie ad essi, ora possiamo definire gli scaldaacqua non più semplicemente boiler ma acqua-arredo.
La macchina del caffè Illyfor Hotpoint, che ha saputo rispondere egregiamente all’esigenza salva-spazio, perché viene appesa al muro.
La spider Era presentata al Salone di Ginevra 2009, per l'essenzialità delle sue forme. Era è stata segnalata dal NY Times per l’eleganza e l'italianità».

Infine quali sono i suoi progetti per il futuro prossimo e cosa augura ad Up Design?

«Nel futuro spero di riuscire a concretizzare con un buon volume d’affari la linea di prodotti firmati Up-Design.
Auguro alla mia azienda di esserci fra 30 anni». 









B. Saccagno


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