venerdì 27 gennaio 2017

Ressource





Ressource

Quando parliamo di risorse immaginiamo una complessità di elementi che si integrano per fornire opportunità e valori spendibili in un contesto socio economico e culturale delineato, spesso sono sottostimate oppure, peggio, inespresse, lasciate ferme o inerti con una conseguente contrazione delle possibilità, ossia ci sono ma non vengono utilizzate nonostante i bisogni concreti.

L’etimologia di risorsa è straordinaria: “dal fr. ressource, der. del lat. resurgĕre «risorgere» (Vocabolario Online Treccani, v. Risorsa), risorgere! 

E dunque, se ci fermiamo un attimo ad osservare ciò che circonda probabilmente, nel raggio di pochi metri, riusciamo a scorgere risorse inerti che, se decidessimo di metterle in circolo, farebbero risorgere elementi concreti a beneficio del territorio e di chi lo vive

Per esempio, avete mai pensato quanti prodotti si sprecano solo perché non vengono raccolti? 
Eppure tutti noi facciamo la spesa, mangiamo e abbiamo ridotto il nostro potere d’acquisto e spesso siamo tentati a seguire la strada facile del basso costo a scapito di qualità e salute… Se, invece, rubassimo un po’ del nostro tempo alla sedentarietà informatica e andassimo a raccogliere ciò che la natura spontaneamente ci dà, oppure ci organizzassimo per scambiare le eccedenze non recuperate degli orti e dei frutteti? 
Immaginate quante risorse avremmo a disposizione, di qualità, a kilometro zero, di gusto, con il benessere salutare del movimento attivo...

Quanto valore inespresso può darci il territorio se abbiamo la consapevolezza di coglierlo?

Ci avete mai pensato?

Se poi i prodotti si distribuiscono ai chi ne ha bisogno? O alle scuole che vogliono seguire la logica del benessere, quale percorso di salute preventiva e di attenzione ai piccoli adulti di domani, indipendentemente dall’etnia (invece di optare per quella perversa del basso costo e dei gangli stridenti in assenza di trasparenza)?
Quanti e quali benefici ne riceveremmo in cambio?

Immagina, puoi






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martedì 10 gennaio 2017

Origine





Origine

Eunomica è un aggettivo  che trae la sua origine da Eunomia.


Deriva da eu, (εὖ
), il buono, il bene, e nomos (νόμος), ciò che è stabilito, legge, regola, canone, uso, prassi.  


Ormai, tutti sapete da cosa deriva l’aggettivo Eunomica, e cosa significa Eunomia


Il buono ed il bene”, nel senso greco del termine, un’etimologia complessa che traduce la frase palindroma “ciò che è buono è bello, ciò che è bello è buono”, ossia ciò che rappresenta la perfezione della bellezza filosofica e ultra terrena, intesa come spazio platoniano delle “idee” nella loro pienezza, non sminuite dal riflesso di proiezione della lontananza dal vero. 


Quella bellezza che i greci hanno  fisicamente tradotto nella perfezione formale che ancora oggi è oggettivamente qualificata come “bella”, perché è eterna, immutabile e ancestrale, ossia contenuta nel nostro DNA cognitivo-visivo-emozionale; non è soggetta a kunstwollen  o a moda (che altro non è che la maggiore frequenza di un valore, tanto per ricordarne il significato di ripetizione di un uguale valore…), perché non si limita a canoni estetici ma contiene "il buono", la "idea", il  "vero", la "armonia universali.   

Certamente aveva i suoi canoni artigianali ben codificati (giusto per ricordare che nella realtà antica l’artista era un artigiano di altissimo livello tecnico τεχνίτης ma pur sempre artigiano, colui che sapeva plasmare la materia e la conosceva nel suo profondo, oltre che a padroneggiare le regole matematiche, fisiche e chimiche che regolano la magia dell’arte quale prodotto finito). 


L’arte greca era matematica, una costante ricerca di rapporti armonici equilibrati che davano all’opera la bellezza umana che, pur cristallizzata nella materie, trasponeva la natura, con i gradi di distanza dal “Vero” ideale. Però, è pur certo, che la matematica veniva accordata all’armonia generale, quella che coglieva l’occhio e la mente umana, fallace nella sua finitezza e finita particella nell’infinito ignoto, quella perfezione che cogliamo, esempio calzante quello delle architetture greche, guardando le strutture imponenti eppure in perfetta proporzione con il creato e con l’uomo (che non si sente sperso granello al suo interno ma elemento perfettamente in armonia con il tutto) che seguono misure matematiche codificate, non possiamo non ricordare che sono piegate (nel senso vero del termine, le colonne non sono mai perfettamente dritte ma inclinate leggermente verso l’interno per farle percepire ai nostri occhi lineari) all’errore programmatico del nostro campo visivo.


La perfezione assoluta non esiste, la percezione della perfezione attraverso il bello ed il buono in armonia con l’idea, che contiene valori assoluti che, indipendentemente dalle storture possibili, non mutano è alla base di un percorso di costruzione dell’eunomia.


Bello e buono, buono nel senso di giusto, ciò che è giusto a prescindere dalle velleità umane ma lo è nel respiro del mondo; senza andare a perdersi in filosofie astratte, e perdute nelle pieghe dei millenni, ci sono valori “buoni” che possediamo sin dal nostro apparire alla vita e che regolano nell’armonia i rapporti, le azioni e i pensieri. Il problema è semmai l’allontanarsi dall’ideale (sempre nel senso platoniano) per percorrere strade lastricate da disarmonie e da disequilibri di scala.



Ora, a scanso di equivoci, tutta questa antichità non è per raccontare una storia cristallizzata, non ripetibile e chiusa, ma per ricordare che l’Eunomicità è un valore base per ritrovare l’armonia che rimetta al centro esseri viventi e natura in un rapporto di reciprocità che non sia lesivo né coercitivo ma collaborativo e di rispetto.






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