mercoledì 4 maggio 2016

Intervista a Riccardo Biasetti

Avvocato

«Dacci la tua personale definizione di “diritto” e di “etica”».

«Il diritto è ciò che si stabilisce (o si riconosce) essere giusto, l’etica è ciò che è (o dovrebbe o sarebbe dovuta essere) l’essenza di ciò che si  stabilisce (o si riconosce) come diritto».

«Perché hai scelto di fare l’avvocato e quali prospettive intravedi per il futuro della professione in un contesto socio economico e culturale liquido che si sta trasformando a contorni sfuocati verso un cambiamento di rotta che si origina dal ‘basso’, che è in fermento ma ancora allo stato embrionale per avere delle prospezioni e proiezioni affidabili per il medio lungo termine?».

«Purtroppo non vedo nessun cambiamento di rotta che si origina dal basso, soprattutto per quanto riguarda la mia professione, che ho scelto per passione e inclinazioni personali.
Le prospettive sono quelle di una bipolarizzazione: da un lato chi ha ampio parco clienti e capitale da investire, dall’altro chi può principalmente offrire solo le proprie competenze professionali; con la costante progressione della gerarchizzazione/subordinazione tra i primi e i secondi e con l’erosione del numero di avvocati che riescono ad esercitare tenendosi fuori da questa dinamica». 

«Se dovessi rispondere a bruciapelo quali sono le 3 qualità che un ‘buon’ (qui inteso nel senso greco del termine) avvocato deve avere?».

«Equilibrio, intuito, prontezza».

«Tu come professionista fai parte di arcipelago Scec, quali ragioni ti hanno portato a scegliere questo percorso per valorizzare sia il tuo lavoro sia il valore umano all’interno di un contesto sociale condiviso e compartecipato?».

«Scec è l’acronimo di “solidarietà che cammina” e i principi etici sottesi alla circolazione degli Scec uniti alla pragmaticità e convenienza di tale sistema di scambio complementare   sono stati i motivi che mi hanno portato ad aderireentusiasticamente a tale piattaforma».

«Non si può nascondere che il sistema giuridico nei suoi meccanismi ha diverse pecche, libero di dissentire in toto ma di fatto migliorie per arrivare a snellire ed ottimizzare le risorse a vantaggio di tutti se ne potrebbero fare; dal punto di vista di un professionista quali accorgimenti o correttivi sarebbe necessario apportare quanto prima per migliorare il lavoro quotidiano nel campo della giustizia?».

«Approssimando per esigenze di sintesi, credo che occorra distinguere tra “sistema giuridico” inteso come ordinamento giuridico, nella sua totalità, “sistema giudiziario” ossia la “macchina che applica la legge” e “funzionamento del sistema giudiziario” ossia come in concreto questa macchina opera.
Tutti e tre i livelli possono e devono essere migliorati (non solo in Italia).
Al momento credo che l’accorgimento “più facile” da attuare e che può dare benefici già nel breve termine sia l’ulteriore potenziamento della digitalizzazione e delle comunicazioni telematiche».

«Proverbio dice “fatta la legge fatto l’inganno” quasi a ribadire che la legge è un incidente di percorso superabile con l’astuzia, giocando non sempre pulito, probabilmente un retaggio di esempi negativi che tutti i giorni si hanno sotto gli occhi, dei tanti divieti limitanti contenuti nelle norme e di casistiche generali che non colgono le particolarità che seppure piccole sono importanti; questo in un certo senso crea un clima di sfiducia verso ciò che invece dovrebbe non solo tutelarci ma aprirci le possibilità ‘di essere e di fare’. Sebbene non sia facile produrre una norma valida per tutti, così come non è automatico arrivare a modifiche in ‘positivo’, quali possono essere i processi per arrivare ad una progettazione del diritto compartecipata non a valore privativo e restrittivo ma costruttivo e quali sono gli strumenti che gli ‘uomini e donne di legge’ hanno a disposizione per non fermarsi alla mera applicazione automatica quando ritengono vi siano cambiamenti di apportare alla norma vigente?».

«Gli operatori del diritto non possono eludere le disposizioni di legge, possono solo applicarle interpretandole in conformità dei principi sottesi ad esse tenendo peraltro conto della gerarchia delle fonti normative e dei rimedi previsti in caso di dubbia costituzionalità o conformità al diritto dell’Unione Europea. In questo contesto si inserisce altresì la c.d. Interpretazione adeguatrice che non è elusione ma è applicazione, applicazione sensibile alle esigenze di tutela che costituiscono la ratio delle disposizioni già vigenti, generali o particolari che siano.   
Una progettazione compartecipata del diritto (intesa come progettazione di nuove disposizioni o di nuovi complessi normativi) può avvenire attraverso strumenti di partecipazione popolare, l’importante è che sia ben chiaro il fatto che limitatamente agli aspetti tecnici ci può essere un dibattito solo fra tecnici del diritto e non anche tra coloro che non lo sono».

«Ogni disciplina ha il suo vocabolario tecnico con significati e significanti ben precisi che ben di rado escono dal circolo elitario degli ‘addetti ai lavori’ e questo gioco forza genera confusione e distanze, soprattutto quando i termini tecnici vengono utilizzati in modo improprio e superficiale, come spesso capita. Nell’era digitale, da titoli improbabili e notizie sempre più frequenti ma di bassa qualità, quali sistemi si potrebbero sviluppare in modo semplice ed intuitivo per diffondere la cultura tecnica a favore della conoscenza e della consapevolezza che avrebbe l’indubbio vantaggio di comprendere senza incappare in errori macroscopici e campagne demagogiche false e tendenziose?».

«Se è vero che, come dicevo, un dibattito tecnico può solo avvenire tra addetti ai lavori è altresì vero che chi non lo è, e ha una cultura/istruzione media, è comunque in grado di conoscere e capire un glossario giuridico minimo, sufficiente a evitare molti fraintendimenti.   
Occorrerebbe un’opera di divulgazione mirata (soprattutto nelle scuole) e  delle avvertenze obbligatorie in calce agli articoli di cronaca giudiziaria che molto spesso giocano sulle ambiguità; un caso  frequente è quello in cui l’autore dell’articolo prospetta come stupro qualsiasi violenza sessuale, la quale, ai sensi dell’art. 609 bis codice penale, può consistere anche in un palpeggiamento indesiderato della coscia (fatto da punire  ma non certo assimilabile ad uno stupro) ; altra ipotesi tutt’altro che rara è quella in cui una sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione viene illustrata come sentenza di assoluzione».

«Oggi si potrebbe dire che è prassi rivolgersi all’avvocato solo in estrema ratio quando un danno è stato fatto o subito o per scontrarsi contro altri, sebbene a volte basterebbe buon senso e pacifica comunicazione, con il risultato di intasare i tribunali; quando forse la pena spendersi per promuovere la cultura della consulenza preventiva che permette di evitare processi e contenziosi che potrebbero essere risolti in maniera molto più semplice e ‘vantaggiosa’, a partire dal minor spreco di tempo e risorse. La consulenza preventiva potrebbe migliorare il rapporto diritto/cittadino a beneficio della comunità e favorire un percorso di dialogo ragionato più oculato?
Ritieni sarebbe opportuno favorire questo tipo di percorso, quali vantaggi potrebbe portare effettivamente, naturalmente se ritieni ne abbia? ».

«Sicuramente. È il miglior modo non solo per ridurre il  contenzioso giudiziario - evitando di  rivolgersi al legale solo quando si è già ricevuto un atto giudiziario e pertanto quando un procedimento giurisdizionale è già stato incardinato -  ma anche per migliorare la propria tutela: spesso ci si rivolge all’avvocato quando è troppo tardi ossia quando poteri che potevano essere legittimamente esercitati - non necessariamente in sede giudiziaria -  si sono prescritti  o non possono più in concreto essere esperiti».  

«Ed infine caro avvocato quali sono i valori aggiunti ed il potenziale esprimibile che il diritto può apportare per partecipare ad una costruzione sinergica di un processo di riprogettazione sociale a 360° che abbia come obiettivo l'equilibrio ed il benessere a vantaggio di ogni singolo individuo e del pianeta?».

«Pensare che il diritto possa dare un valore aggiunto ad una riprogettazione sociale radicale, significa pensare che esso si ponga in una relazione accessoria rispetto alla società, un qualcosa in più che può essere dato ad essa. In realtà si tratta invece di una totale compenetrazione.
Un brocardo recita ubi societas ibi ius, ubi ius ibi societas . Non esiste società senza diritto ma non esiste nemmeno il diritto senza una società, in quanto il diritto è relazione. Occorre un diritto sano in modo che la società si sviluppi in maniera sana ed occorre una società sana in maniera tale che essa possa esprimere un diritto altrettanto sano.
Laddove c’è un accordo (anche tacito) c’è diritto, laddove c’è  consuetudine c’è  diritto,  la riprogettazione sociale è essa stessa diritto».




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