lunedì 20 ottobre 2014

L'economia sociale: sulla soglia di un concetto importante per tutti


Lesson n. 1

Se dovessi affrontare tutte le ragioni teoriche per cui ci serve l'economia sociale tanto da non poterne fare veramente a meno, sarei costretto a fornire un'impalcatura etico-morale e poi dovrei perorare necessariamente la causa, - la “nuova” causa -, cercando di convincere il pubblico sull'importanza dell'impostazione.




MINESTRA INSIPIDA: NO GRAZIE

Il risultato sarebbe, nella migliore delle ipotesi, uno strano sermone sul valore morale dell'economia sociale: una minestra insipida che non nutrirebbe nessun cervello, nemmeno il mio...

Allora entrerò direttamente in argomento con un esempio che mi sembra molto appropriato: sarà un po' lungo spiegare ma ne varrà la pena, spero.


Allora non occorre allacciarsi le cinture di sicurezza, tanto potete scendere quando volete!



Stamattina sono andato in aeroporto per i miei consueti viaggi di lavoro, avevo il volo alle 07.10 e mi sono presentato al terminal alle 05.50 con il check-in già fatto, foglio intonso, fresco di stampa.

Per chi non lo sapesse, in alcune condizioni, ci si può presentare direttamente ai controlli di sicurezza, senza passare per il cosiddetto “check-in” evitando del tutto la pratica della stampa del biglietto e della consegna del bagaglio, saltando nello stesso tempo la fila più significativa del viaggio
.
CHECK IN/CHECK OUT

Rimango sbalordito dalla fila per l'accesso al volo: mi trovo davanti qualche centinaio di persone che sono tutte lì da tempo nonostante l'orario antelucano.
Il foglio mi si stazzona in mano esattamente come il mio morale.
Parte l'esame coscienziale.




F. B. «C***o, mi sono alzato alle 04.00, abito a 50 minuti di macchina da qui, mi hanno fatto perdere un sacco di tempo al parcheggio, arrivo 1 h e 20, dico 1h e 20 minuti, prima del volo e scopro che praticamente l'ho già perso e avrò un sacco di problemi per tutto questo!».


S. I. «E già, lamentati pure ma guarda che gli altri che sono qui, si sono semplicemente alzati prima di te, prenditela con te stesso che sei lento la mattina!». 


F. B. «Oh mi sono alzato alle 04.00, sono arrivato alle 05.20 al parcheggio ci hanno messo mezz'ora a scodellarmi qui perché hanno aspettato che la navetta fosse piena per fare un viaggio in meno, che vuoi da me?!».

S. I. «Poverino, uno che lo sente potrebbe pensare che non ha fatto nulla che lui è innocente: lo sapevi che c'era gente, dovevi alzarti un'ora prima ancora...»

F. B.  «Alle 03.00! ma sei pazzo!
Per tanto così prendevo il treno!
Scusa, sarei pure arrivato nel pomeriggio bello riposato e non così shakerato già al mattino presto».

S. I. «Sì, bravo commiserati, e adesso cosa farai?
Lo sai che devi andare in fondo alla fila da bravo bambino e non fare il furbo, vero? Non ti azzardare, non ci provare!».

F. B. «Senti, di necessità virtù io: non posso perdere il volo, ho un lavoro che mi attende con almeno 30 persone che mi aspettano.
Non posso semplicemente.
Mi spiace per gli altri ma devo saltare almeno un po' della coda, non dico tutta ma quanto mi basta per arrivare al gate in tempo...”.

S. I. «Che cosa?!?
E vorresti fare quello che fanno tutti?
Vuoi fare il furbo come gli altri?
Sei un mostro!».



A questo punto spengo il circuito della coscienza o del Super-io, che sparisce dalla mia mente con un urlo la cui eco accusatoria mi accompagnerà per buona parte della mattina e semplicemente mi piazzo con aria da santarellino un po' svagato a tre quarti della coda: intendiamoci, mi sento veramente una cacca e odio fare queste cose ma davvero non mi viene in mente una soluzione migliore di questa.




Mi infilo fra due inglesi che lascio accuratamente davanti a me visto lo sguardo assassino del tipo “provaci e sei morto!” e un piccolo gruppo di connazionali rassegnati che mi guardano come il solito furbetto del quartierino: proprio l'alta figura sociale e morale che vorrei incarnare e per la piena identificazione con la quale sono anni che lavoro.
Il Super-io cerca di riaccendere il meccanismo della coscienza, ma io giro la rotella sull'impostazione manuale e gli impedisco di parlare...




ATTENTI AI FURBI


I rassegnati mi sopportano con una pazienza degna di un monaco tibetano; quanto ai due inglesi, - una bella coppia tra l'altro, soprattutto lui, bel volto di mezza età occhi di ghiaccio, mi trapassa con lo sguardo e ogni tanto mi scruta con aria spavalda come a dire:
«Ce l'hai fatta eh s*****o?
Non ti hanno detto nulla ma io ti avrei spellato e messo sotto sale»”
Il Super-io ci riprova, ma io tengo ferma la rotella.

LA VOCE DEGLI ECONOMISTI

Mi guardo indietro e scuoto la testa: davvero non avrei potuto seguire la file e il mio destino a meno di perdere l'aereo.
Mi dispiace veramente per gli altri ma la soluzione che ho trovato è la meno indolore per tutta l'umanità me incluso: io non perdo un'occasione importante e tolgo molto poco agli altri, consapevole del fatto che, se tutti ragionassero così...
Rimetto in manuale e allontano la mano del Super-io che ci stava quasi riuscendo.

Sul depresso andante, penso a cosa direbbero gli economisti.
Riesco a figurarmelo benissimo.
Il classico neo-malthusiano direbbe che siamo in una classica situazione di  sovrappopolamento con troppi player per poche risorse che devono essere distribuite fra molti, l'obiettivo “dare a tutti” è improponibile.
Il neokeynesiano aggiungerebbe che c'è una tara di mercato e che è l'inefficienza dell'organizzazione probabilmente dovuta ad un prezzo del biglietto troppo basso che, a sua volta, impedisce giusti investimenti.




Il neoliberista, d'altra parte, sottolineerebbe che in realtà il prezzo va bene e che si poteva operare una scelta migliore limando i costi di produzione con alcune strategie low-cost.




Qualche osservatore radicale urlerebbe che, ancora una volta, è un difetto di sistema e che, in realtà, qualcuno vuole arricchirsi alle spalle dei cittadini o dei viaggiatori proponendo servizi che non può mantenere veramente, sfruttando la manodopera e i lavoratori, aggirando l'intelligenza del consumatore che viene messo in una posizione difficile in cui non può operare scelte razionali ma solo subire gli eventi.

Quest'ultima dichiarazione mi fa sentire meglio: non è colpa mia, io ho fatto tutto il possibile, neanche quelli che sono qui con me sono colpevoli di nulla, cercano in fondo di prendere solo un aereo e non hanno possibilità di scegliere diversamente.

Facciamo quello che possiamo con gli strumenti che abbiamo: il senso di colpa svapora leggermente.

NON È STATA COLPA MIA!

Se non fosse per questo inglese che, tra l'altro, ha l'aereo pure 10 minuti prima di me e se ne sta serafico in stato paranirvanico senza agitarsi al pensiero di perderlo!

Proprio un inglese doveva capitarmi?
Non poteva essere un levantino o qualsiasi altro con cui un italiano non ha complessi di inferiorità morale?
Mi riguarda beffardo, ma, ad un certo punto, la sua attenzione viene sviata su altri casi umani più gravi del mio: reggo il suo sguardo con un lieve sapore di trionfo.
Gli dico mentalmente, tanto so che mi sente:

«O cittadino della sacra Albione, tu che giudichi tutto con la rettitudine morale arrivata a te da generazioni di ottimi cittadini, tu mi guardi come un essere subumano ma allora come consideri gli altri?
L'hai vista quella stangona mora, stile fotomodella che dal fondo della fila è saltata in cima con aria da “adesso passo io e guai a chi mi dice qualcosa”?
Non ti sembra uno di quegli agenti della CIA che potrebbero farti fuori con una mossa di “kissà kuale arte marziale”?

Che mi dici degli “splendidi che entrano in palese ritardo nel terminal e decidono istantaneamente che loro la fila non la faranno mai e si infilano direttamente in cima?

Cosa speculare moralmente su quell'intera scolaresca che, rimasta fregata come tutti, viene indotta dalle insegnanti a saltare la fila puntando sulla precedenza etico-sociale che si deve ai bambini?

Li hai notati quei signori anziani che fingono di non capire nulla che loro, poverini, con la tecnologia non ce la fanno proprio e quindi non lo sanno proprio dove devono andare ma intanto vanno il più avanti possibile?».

Sembra avermi capito, mi sorride non più sornione, mi ha assolto: mi rilasso.

LA RIVINCITA DEL SUPER IO
Mi rideprimo, ho appeno scoperto che quella a cui ho veramente tolto il posto in realtà ha il volo 10 minuti prima del mio: comincia a rumoreggiare che non ne può più, che tutti le passano avanti, che lei non ha saltato la fila, ha fatto il suo dovere e che succede nel nostro Paese quando uno fa il proprio dovere fino in fondo?
Viene fregato da tutti, ecco cosa succede!

Mi arriva un coppino dal mio Super-io, ma io gli ricordo la necessità economica, la madre e la vera causa di tutte le scelte socio-economiche: che stia zitto lui che tanto di queste cose non capisce niente è solo un misero moralista che preferisce morire sul pezzo, piuttosto che adattarsi alle vere esigenze della vita.
Dopo la sfuriata intestina, mi sento meglio.

L'inglese poi mi sta sorridendo benevolo: “non sei in fondo così cattivo, guarda quanti altri s*****i, tu hai fatto male ma poi non così tanto...

Gli sorrido grato e più leggero ma non riesco a sostenere moralmente lo sguardo della mia connazionale dietro di me e con l'aereo prima di me, quella a cui io ho tolto un minuto di coda!

Ehi, ma che succede?
Vengo lievemente spintonato da uno che cerca di infilarsi alla chetichella con aria gentile: riconosco il patetico tentativo di un improvvisato nello stile “vorrei fare la fila ma non posso e ti chiedo almeno il permesso ma tu un po' me lo devi altrimenti  io perdo l'aereo e sei tu lo s*****o!

Proprio non ci sa fare: intanto non è della nazionalità giusta per essere credibile, poi finge troppa umiltà e condiscendenza, mostra a tutti il biglietto, si giustifica con eccessiva affettazione ma con l'inglese non c'è niente da fare!
Senza nemmeno scomporsi, questo gli dice nella sua lingua che l'altro non capisce o finge di non capire, che anche lui ha lo stesso problema e che la fila è per tutti, è una questione di civiltà: lo educa come fosse uno scolaretto colto in fallo, voce pacata, modi gentili ma la più ferma fermezza.
L'altro, abbacinato da cotanta lezione di civiltà plurisecolare, rimane bloccato o meglio paralizzato, chiedendosi come fare ma intanto è arrivato almeno davanti a me.
Voglio dire ne ha fatta di strada.

LEGA ITALO BRITANNICA vs PASSEGGERI SFIGATI
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Ma che altro succede?

Due splendidi si stanno infilando direttamente in cima alla fila senza nessun riguardo: sta per intervenire l'inglese ma lo precede una signora di una certa età, stile professoressa con aria decisa che li blocca richiamandoli al loro dovere.
Gli splendidi non arretrano e fanno resistenza.

Intuisco pezzi di frasi:
«Ma che dobbiamo fare?
Oh! c'abbiamo il volo?!?
Lo volete capire?»

L'accento partenopeo non li aiuta decisamente e la prof. incalza sostenuta dall'inglese che non parla italiano ma si fa capire benissimo.
Intanto il fermato dall'inglese assume un'aria da recluso di Alcatraz, un misto di rassegnazione e di desiderio di fuga...
La lega italo-britannica respinge gli splendidi che sono costretti a mollare qualche metro di fila.
Qualcuno commenta a voce alta: «ma scusate perché non fate il fast track?»


Sapevo di questo servizio ma credevo che si trattasse di qualcosa che si compra all'atto dell'acquisto del biglietto, non dopo e tanto meno lì, quando sei già stato fregato...

Senti, senti scopro che in realtà si può accedere ad una fila molto minore pagando solo 10 euro: mi riprometto di approfondire.


LA DURA LEGGE DEL GOAL


Siamo giunti nella parte terminale dell'interminabile coda del terminal: si vede la meta ormai, si è confortati dal fatto che noi almeno ce l'abbiamo fatta e con la tristezza mista al sadico piacere di chi è ormai oltre.

Il recluso, il fermato dall'inglese, ha un guizzo, alza gli occhi al cielo e con sguardo vuoto si infila tra le transenne direttamente alla fila del metal detector.
Si è salvato.

Riflessioni sulla condizione umana gravano sulle nostre menti e sui nostri cuori:
Cosa avremmo potuto fare di diverso?
Come aiutare gli esclusi, gli “atterriti” e gli “atterrati” come evitare che diventino altrettanti “atterroristi”?
Intanto però decido di approfondire sul fast track e fermo una hostess che mi conferma che sì, si può fare  al costo di 9 euro e lì alla cassa a 10.

Come tutti, mi annoto mentalmente che la prossima volta avrò almeno due opzioni:

opzione uno, alzarmi alle 3 come proposto dal mio simpatico Super-io

oppure

2 opzione due, pagare 10 euro e respirare sereno.

Già ma se poi tutti scelgono la seconda come farò ad evitare l'ulteriore coda?
Boh, chi vivrà vedrà!

LO SCOPRIREMO SOLO VIVENDO

Siamo al metal detector, l'inglese che, sotto la sua giacca, rivela una camicia stazzonata e fuori dai pantaloni, non ha messo la cintura nell'apposita vaschetta, cerco di aiutarlo come posso ma lui non fa sconti, mi tratta come se fosse nel suo buon diritto – come in effetti è – di avere una vaschetta aggiuntiva e non ha bisogno di aiuto.
Che palle però!

È tutto pieno ma siamo salvi e questa consapevolezza ci rende pazienti e capaci di sopportare tutto anche il fatto che ci trattano come viaggiatori di terza classe rispetto a quelli che hanno usufruito del mitico fast track  i quali entrano al metal detector come se fossero iscritti ad un club esclusivo.


GLI EROI DI HOGAN

Finalmente arrivo al gate 10 minuti prima del mio volo!
Ce l'ho fatta, è stata già una lunga giornata.
C'è uno dei miei compagni di prigionia che mi guarda severo, si ricorda ancora che ho fatto il furbo.
Distolgo lo sguardo e chi vi vedo?
La stangona fotomodella, la probabile agente CIA che aveva saltato la fila a piè pari, che placidamente seduta sta sbocconcellando una colazione con tutta la calma del mondo. Aveva tanta fretta evidentemente di fare colazione, penso amaro.


Vorrei telefonare all'inglese e denunciarla ma faccio parte anch'io dei rei e non posso permettermi una reclusione in un carcere britannico: devo mandare giù il rospo morale.

Consegno il biglietto al gate, mi sembra il giorno in cui mi sono laureato e mi hanno proclamato dottore: provo un grande senso di liberazione. Io comunque sia ne sono fuori, ho vinto.

NON È TUTTO ORA QUEL CHE LUCCICA

Mentre assaporo questa ebbrezza, ecco che arriva un tizio ansante e trafelato: si guarda in giro in cerca di un volto amico, gli sorrido, mi inquadra.

«C***o non si può cominciare così la giornata, mi verrà un infarto e solo per prendere un aereo, e pensare che ho fatto pure il fast track!».
Questo mi colpisce e gli chiedo perché ha dovuto correre se aveva comprato il magico servizio saltacoda.
«Quella m***a di macchinetta si era inceppata e non accettavano i contanti, solo carte di credito o bancomat e ci tenevano lì.
Se fossimo rimasti in fila normalmente, avremmo fatto prima…».”
Bisogna che riveda un momento l'opzione due...

Voi a questo punto penserete tante cose spero più gentili di:
«Ci hai fatto perdere un quarto d'ora con sta p*******a” »;
«Se hai questo dialogo interiore, ti sei rovinato da grande o sei caduto dal seggiolone»;
«Benvenuto nella realtà, siamo circondati da s*****i e tu ne fai parte»;
«E così, hai saltato la fila, brutto b******o».

Intendiamoci, sono tutte reazioni comprensibili, però la sentenza peggiore, quella che proprio non potrei accettare, è:

Gli economisti hanno ragione”.

Quanto precede non mi offende, - non può offendermi – perché umanamente contemplabile.

Rispetto alla mia salute mentale, va detto che sono sposato con uno psichiatra, il che aiuta decisamente perché c'è il conforto del tecnico a casa, pur appesantito dalla certezza della diagnosi che, invece, disillude bruscamente.

No, il problema vero è che invece potete credere a uno o più dei pareri che vi ho riportato nel racconto, per intenderci dal neomalthusiano all'osservatore radicale.


Può sembrare un problema da niente, qualcosa per cui non vale la pena scrivere o procedere con la cultura ma crederci genuinamente e costruire la propria/altrui esistenza o regolare la convivenza civile su basi intellettualmente così piccole, ci toglie la speranza e, nello stesso momento, ci condanna davvero al cinismo di cui l'economia si nutre.


IO E/O NOI?

Tutti crediamo nel teorema che l'economia sia il perseguimento dell'interesse egoistico contro quello sociale ma alla fine chi lo ha detto?
Chi lo ha sancito per tutti noi e nello stesso tempo?

Perché dovremmo accettarlo come se fosse un fatto atavico, ineluttabile, quasi “genetico” nella razza umana e quindi incontrovertibile?

L'esistenza, - e meno male!- è molto più complessa e varia di un pensiero solo tra l'altro vecchio di secoli e mai veramente aggiornato: perché non dovremmo mettere in discussione un teorema che pur nella sua apparente razionalità ci fa vivere meschinamente?

Si tratta solo di ripensare e riprogettare anche se prima dobbiamo capire e darci una direzione.
Questo è lo scopo di questa serie di appunti.
Ma lasciatemi spiegare perché l'ho fatta tanto lunga con aeroporti e code al terminal.


IL TEOREMA DELLA FILA IN ATTESA

Se noi riduciamo la storiella che vi ho appena raccontato e che avete avuto la pazienza di leggere, all'oggettività del teorema, cosa troviamo?

In un contesto puramente sociale, ci sono dei soggetti che interagiscono in condizioni tali per cui le informazioni non circolano completamente e perfettamente e le risorse vengono allocate non esattamente tanto da generare la sensazione che siano scarse rispetto al richiesto e all'atteso.

La frustrazione della domanda – come direbbero gli economisti - e le poche alternative inquadrabili sulla base delle informazioni in possesso della media dei partecipanti determinano una condizione di rigidità e di difficoltà di cui tutti i soggetti possono avvertire la limitazione.

La soluzione economica più semplice e che sembra risolvere, è quella di trasformare il bisogno così generato in un servizio di cui si può godere proprio per evitare la frustrazione.

È proprio semplice, basta pagare qualcosa in più e si è fuori dal problema: è la soluzione più adottata oggi dall'economista o dal decisore pubblico e privato.
Dietro questa apparente semplicità, ci sono però tante importanti decisioni prese inconsapevolmente:

1 non si prende la frustrazione come un segnale ambientale da comprendere bene per cambiare le cose, si pensa che sia una variabile non eliminabile: è un dato ambientale e non un segnale;
2 la generazione di un servizio per togliere la frustrazione determina la presenza di un gruppo di esclusi che dovranno subire la situazione in tutta la sua rigidità e a niente varrà l'aver tolto dalla quota totale i pochi che impiegheranno il servizio;
3 non si valutano alternative (progetti, proposte, idee) che possano rendere migliore la condizione di tutti: si rimane sull'idea del servizio che sembra essere più facilmente gestibile, senza pensare di poter fare meglio;
4 di fronte all'aggravarsi della situazione e all'incapacità di migliorare il servizio, l'organizzazione delle risorse si rivela insufficiente ma non si ritiene di poter intervenire con un'organizzazione di livello superiore: si pensa che i consumatori adotteranno strategie migliorative in quanto soggetti intelligenti o che addirittura il servizio, pur insufficiente, sia una nuova entrata;
5 banalmente non si forniscono nemmeno le informazioni di accompagnamento veramente in grado di cambiare la percezione del dato reale in modo, ad esempio informando del problema al momento del check in online;
6 il consumatore sarà quindi indotto ad una serie di scelte non creative tipiche dei contesti violenti che si tradurranno in comportamenti non capaci di migliorare la condizione stressante e che sono riconducibili a questi: accettazione rassegnata, accettazione rivendicativa, non accettazione con strategie di miglioramento individuale con poco danno degli altri, non accettazione con strategie di miglioramento individuale e danno maggiore per gli altri.

Per l'economista il problema era già stato risolto con il servizio e l'aziendalista, come l'operatore commerciale possono addirittura arrivare ad ipotizzare un vantaggio competitivo e una frammentazione dell'offerta ottima per produrre margine o economicità per l'azienda.

NON SPARATE SUGLI ECONOMISTI

Io non ce l'ho con la categoria degli economisti e proprio con nessun economista in particolare, non ho motivo di rancore verso aziendalisti, politologi, commercialisti, fiscalisti, decisori economici, statalisti, statistici, statisti.

Lo dichiaro apertamente: il mio nemico è il cinismo diventato regola di comportamento razionale e auspicabile - perché di questo si tratta in ultima analisi – che demotiva la gente a cercare soluzioni migliori e più capaci.

AIRPORT CASE HISTORY

Nel caso in esame, il profilo delle decisioni assunte, probabilmente inconsapevolmente e solo per routine, produce una certa sfiducia da parte del consumatore che può cogliere la possibilità più ampia di scelta che gli spetterebbe naturalmente e, per contro, la riduzione del suo diritto ad un servizio a pagamento che grava su di lui per consentirgli un semplice accesso al gate e – si badi bene - non per un valore aggiunto reale.

L'economista, in ultima istanza, crede che il consumatore sia solo accettante e rassegnato e che si farà furbo con l'esperienza: non immagina, per esempio, che un soggetto possa decidere di non usare più l'aereo o quella compagnia o che possa usare gli stessi servizi con comportamenti distratti e negligenti che alla lunga deteriorano gli aeromobili o gli spazi dedicati più in fretta di quanto sarebbe normale o, ancora, che addirittura arrivi a creare strategie antisociali (i famosi splendidi o le agenti CIA) che aggravano la condizione generale.

Sembra non interessargli la sofferenza, la lieve e la grande, come se non fosse un suo problema e nemmeno si preoccupa del fatto evidente che tutto ciò produce una massa di consumatori scontenti che non adotteranno più i servizi a valore aggiunto (il volo in questo caso).

Alla lunga, la compagnia potrebbe essere costretta a determinare delle politiche di attrazione della clientela con leve diverse, diminuendo il prezzo solo per alcuni orari o combinazioni di tratte, con una fatica di progettazione crescente.

Ma, in fin dei conti, tutto questo si rivelerebbe temporaneo e inutile perché non si è voluto considerare debitamente la variabile più importante: la dimensione sociale.

Questa ha poco a che fare con social media, sms inviati in orari assurdi o moduli informatici di feedback, no, si comincia a cogliere questa dimensione quando ci si propone di progettare onestamente il servizio pensando davvero di essere uno di quei disgraziati che si sono alzati alle 04.00 e volevano prendere l'aereo alle 07.10.










Francesco Bernabei

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