giovedì 24 novembre 2016

Ratio et Opus



Antefatto


La contemporaneità è imbibita di “crisi”, una parola che ormai ha assunto una sua entità fisica, palpabile nella quotidianità di ogni singolo essere, vivente o inerte che sia (pare che nessuno ne sia escluso). La “crisi” ha permeato la realtà di una patina vischiosa e grigiastra che soffoca la fiducia e inibisce le reazioni e le energie. 

Eppure, questa parola in sé non ha una connotazione prettamente negativa, anzi, favorisce la creatività e il cambiamento, per esempio per le Scienze Sociali è “il passaggio da una condizione di stabilità a una di variabilità negli equilibri istituzionali e culturali di un sistema sociale” (Enciclopedia OnlineTreccani,  v. Crisi), un passaggio dunque; è un semplice cambio di status e a ben pensare si può focalizzarlo come un corridoio da attraversare con consapevolezza, non certo come una palude soffocante che impantana.


Ma se facciamo un salto indietro, là dove la cultura era il fulcro centrale di ogni atto umano e filosofeggiare era un valore etico e morale imprescindibile, nella latinità, “crisi” è qualcosa di ancora più profondo, dall’intrinseco valore positivo, ossia il momento della scelta oppure quello della risoluzione di uno stato di malattia, cioè stringi stringi la soluzione, non il problema… (Vocabolario Online Treccani, v. Crisi  dal lat. crisis, gr. κρίσις «scelta, decisione, fase decisiva di una malattia», der. di κρίνω «distinguere, giudicare»” IL – Castiglioni Mariotti, Dizionario Italiano-Latino, v. latina Crisisrisoluzione di una malattia”).

                                                                                                                                  





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