Se
dovessi affrontare tutte le ragioni teoriche per cui ci serve l'economia
sociale tanto da non poterne fare veramente a meno, sarei costretto a fornire
un'impalcatura etico-morale e poi dovrei perorare necessariamente la causa, -
la “nuova” causa -, cercando di convincere il pubblico sull'importanza
dell'impostazione.
MINESTRA INSIPIDA: NO
GRAZIE
Il
risultato sarebbe, nella migliore delle ipotesi, uno strano sermone sul valore
morale dell'economia sociale: una minestra insipida che non nutrirebbe nessun
cervello, nemmeno il mio...
Allora
entrerò direttamente in argomento con un esempio che mi sembra molto appropriato:
sarà un po' lungo spiegare ma ne varrà la pena, spero.
Allora
non occorre allacciarsi le cinture di
sicurezza, tanto potete scendere quando volete!
Stamattina sono andato in aeroporto per i miei
consueti viaggi di lavoro, avevo il volo
alle 07.10 e mi sono presentato al terminal alle 05.50 con il check-in già fatto, foglio intonso,
fresco di stampa.
.
CHECK IN/CHECK OUT
Rimango
sbalordito dalla fila per l'accesso al
volo: mi trovo davanti qualche centinaio di persone che sono tutte lì da
tempo nonostante l'orario antelucano.
Il
foglio mi si stazzona in mano esattamente come il mio morale.
Parte
l'esame coscienziale.
F. B. «C***o, mi sono alzato alle 04.00, abito a 50 minuti di macchina da qui, mi hanno fatto perdere un sacco di tempo al parcheggio, arrivo 1 h e 20, dico 1h e 20 minuti, prima del volo e scopro che praticamente l'ho già perso e avrò un sacco di problemi per tutto questo!».
S. I. «E già, lamentati pure ma
guarda che gli altri che sono qui, si
sono semplicemente alzati prima di te, prenditela con te stesso che sei
lento la mattina!».
F. B. «Oh
mi sono alzato alle 04.00, sono arrivato alle 05.20 al parcheggio ci hanno
messo mezz'ora a scodellarmi qui perché hanno aspettato che la navetta fosse
piena per fare un viaggio in meno, che vuoi da me?!».
S. I. «Poverino, uno
che lo sente potrebbe pensare che non ha fatto nulla che lui è innocente: lo
sapevi che c'era gente, dovevi alzarti un'ora prima ancora...»
F. B. «Alle 03.00! ma sei pazzo!
Per
tanto così prendevo il treno!
Scusa,
sarei pure arrivato nel pomeriggio bello riposato e non così shakerato già al mattino presto».
S. I. «Sì, bravo commiserati, e adesso cosa farai?
Lo sai che devi andare in fondo alla fila da bravo
bambino e non fare il furbo, vero? Non ti azzardare, non ci provare!».
F. B. «Senti, di
necessità virtù io:
non posso perdere il volo, ho un lavoro che mi attende con almeno 30 persone
che mi aspettano.
Non posso semplicemente.
Mi
spiace per gli altri ma devo saltare almeno un po' della coda, non dico tutta
ma quanto mi basta per arrivare al gate
in tempo...”.
S. I. «Che cosa?!?
E
vorresti fare quello che fanno tutti?
Vuoi fare il
furbo come gli altri?
A questo punto spengo il circuito
della coscienza o del Super-io,
che sparisce dalla mia mente con un urlo la cui eco accusatoria mi accompagnerà
per buona parte della mattina e semplicemente
mi piazzo con aria da santarellino un po' svagato a tre quarti della coda:
intendiamoci, mi sento veramente una cacca
e odio fare queste cose ma davvero non
mi viene in mente una soluzione migliore di questa.
Mi infilo fra due inglesi che lascio
accuratamente davanti a me visto lo sguardo assassino del tipo “provaci e sei morto!” e un piccolo
gruppo di connazionali rassegnati che mi
guardano come il solito furbetto del quartierino: proprio l'alta figura sociale
e morale che vorrei incarnare e per la piena identificazione con la quale sono
anni che lavoro.
Il
Super-io cerca di riaccendere il meccanismo della coscienza, ma io giro la
rotella sull'impostazione manuale e gli impedisco di parlare...
ATTENTI AI FURBI
ATTENTI AI FURBI
I rassegnati mi sopportano con una pazienza
degna di un monaco tibetano; quanto ai due inglesi, - una bella coppia tra l'altro, soprattutto
lui, bel volto di mezza età occhi di ghiaccio, mi trapassa con lo sguardo
e ogni tanto mi scruta con aria spavalda come a dire:
«Ce l'hai fatta eh s*****o?
Non ti hanno detto nulla ma
io ti avrei spellato e messo sotto sale»”
Il
Super-io ci riprova, ma io tengo ferma la rotella.
LA VOCE DEGLI ECONOMISTI
Mi
guardo indietro e scuoto la testa: davvero non avrei potuto seguire la file e
il mio destino a meno di perdere l'aereo.
Mi dispiace
veramente per gli altri ma la soluzione che ho trovato è la meno indolore per
tutta l'umanità me incluso: io non perdo un'occasione importante e tolgo molto
poco agli altri, consapevole del fatto che, se tutti ragionassero così...
Rimetto
in manuale e allontano la mano del Super-io che ci stava quasi riuscendo.
Sul depresso andante, penso a cosa direbbero gli economisti.
Riesco
a figurarmelo benissimo.
Il classico
neo-malthusiano direbbe che siamo in una classica situazione di sovrappopolamento
con troppi player per poche risorse che devono essere distribuite fra molti, l'obiettivo “dare a
tutti” è improponibile.
Il neokeynesiano
aggiungerebbe che c'è una tara di mercato e che
è l'inefficienza dell'organizzazione
probabilmente dovuta ad un prezzo del biglietto troppo
basso che, a sua volta, impedisce giusti
investimenti.
Il neoliberista,
d'altra parte, sottolineerebbe che in realtà il prezzo
va bene e che si poteva operare una scelta
migliore limando i costi di produzione con alcune strategie low-cost.
Qualche osservatore
radicale urlerebbe che, ancora una volta, è un
difetto di sistema e che, in realtà, qualcuno
vuole arricchirsi alle spalle dei cittadini o dei viaggiatori proponendo servizi che non può mantenere veramente, sfruttando la manodopera e i lavoratori, aggirando
l'intelligenza del consumatore che viene messo
in una posizione difficile in cui non può operare
scelte razionali ma solo subire gli
eventi.
Quest'ultima
dichiarazione mi fa sentire meglio: non è colpa mia, io ho fatto tutto il possibile, neanche
quelli che sono qui con me sono colpevoli di nulla, cercano in fondo
di prendere solo un aereo e non hanno possibilità di scegliere diversamente.
Facciamo quello
che possiamo con gli strumenti che abbiamo: il senso di colpa svapora leggermente.
Se non fosse per questo
inglese che,
tra l'altro, ha l'aereo pure 10 minuti prima di me e se ne sta serafico in stato paranirvanico senza agitarsi
al pensiero di perderlo!
Non
poteva essere un levantino o qualsiasi altro con cui un italiano non ha
complessi di inferiorità morale?
Mi
riguarda beffardo, ma, ad un certo punto, la sua attenzione viene sviata su
altri casi umani più gravi del mio: reggo il suo sguardo con un lieve sapore di
trionfo.
Gli dico
mentalmente, tanto so che mi sente:
«O cittadino della sacra Albione, tu che giudichi
tutto con la rettitudine morale arrivata a te da generazioni di ottimi
cittadini, tu mi guardi come un essere subumano ma allora come consideri gli altri?
L'hai vista quella stangona mora, stile fotomodella che dal fondo della fila è saltata in cima con aria da “adesso passo io e guai a chi mi dice qualcosa”?
L'hai vista quella stangona mora, stile fotomodella che dal fondo della fila è saltata in cima con aria da “adesso passo io e guai a chi mi dice qualcosa”?
Non
ti sembra uno di quegli agenti della CIA che potrebbero farti fuori con una
mossa di “kissà kuale arte marziale”?
Che mi dici degli “splendidi” che entrano in palese ritardo nel terminal e decidono istantaneamente che loro la fila non la faranno mai e si infilano direttamente in cima?
Cosa
speculare moralmente su quell'intera scolaresca
che, rimasta fregata come tutti, viene indotta dalle insegnanti a saltare
la fila puntando sulla precedenza
etico-sociale che si deve ai bambini?
Li hai notati quei signori anziani che fingono di non capire nulla che loro, poverini, con la tecnologia non ce la fanno proprio e quindi non lo sanno proprio dove devono andare ma intanto vanno il più avanti possibile?».
Sembra avermi capito, mi sorride non più sornione, mi ha assolto: mi rilasso.
Li hai notati quei signori anziani che fingono di non capire nulla che loro, poverini, con la tecnologia non ce la fanno proprio e quindi non lo sanno proprio dove devono andare ma intanto vanno il più avanti possibile?».
Sembra avermi capito, mi sorride non più sornione, mi ha assolto: mi rilasso.
Mi
rideprimo, ho appeno scoperto che quella a
cui ho veramente tolto il posto in realtà ha il volo 10 minuti prima del mio:
comincia a rumoreggiare che non ne può più, che tutti le passano avanti, che
lei non ha saltato la fila, ha fatto il suo dovere e che succede nel nostro Paese quando uno fa il proprio dovere fino in
fondo?
Viene fregato da tutti,
ecco cosa succede!
Mi arriva un
coppino dal mio Super-io,
ma io gli
ricordo la necessità economica, la madre e la vera causa di tutte le scelte
socio-economiche: che stia zitto
lui che tanto di queste cose non capisce niente è solo un misero moralista che preferisce morire sul pezzo,
piuttosto che adattarsi alle vere esigenze della vita.
Dopo
la sfuriata intestina, mi sento meglio.
L'inglese poi mi sta sorridendo benevolo: “non sei in fondo così cattivo, guarda quanti
altri s*****i, tu hai fatto male ma poi
non così tanto... “
Gli sorrido grato e più leggero ma non riesco a sostenere moralmente lo sguardo della mia connazionale dietro di me e con l'aereo prima di me, quella a cui io ho tolto un minuto di coda!
Ehi, ma che succede?
Vengo lievemente spintonato
da uno che cerca di infilarsi alla chetichella con aria gentile: riconosco il patetico
tentativo di un improvvisato nello stile “vorrei
fare la fila ma non posso e ti chiedo almeno il permesso ma tu un po' me lo
devi altrimenti io perdo l'aereo e sei
tu lo s*****o!”
Proprio
non ci sa fare: intanto non è della nazionalità giusta per essere credibile,
poi finge troppa umiltà e condiscendenza, mostra a tutti il biglietto, si
giustifica con eccessiva affettazione ma con
l'inglese non c'è niente da fare!
Senza nemmeno scomporsi, questo gli dice nella
sua lingua che l'altro non capisce o finge di non capire, che anche lui ha lo
stesso problema e che la fila è per
tutti, è una questione di civiltà: lo educa come fosse uno scolaretto colto
in fallo, voce pacata, modi gentili ma la più ferma fermezza.
L'altro, abbacinato da
cotanta lezione di civiltà plurisecolare, rimane bloccato o meglio paralizzato,
chiedendosi come fare ma intanto è
arrivato almeno davanti a me.
Voglio
dire ne ha fatta di strada.
LEGA ITALO BRITANNICA vs
PASSEGGERI SFIGATI
1 – 0
Ma
che altro succede?
Due splendidi
si stanno infilando direttamente in cima alla fila senza nessun riguardo: sta per intervenire
l'inglese ma lo precede una signora di
una certa età, stile professoressa con aria decisa che li blocca richiamandoli al loro dovere.
Gli
splendidi non arretrano e fanno resistenza.
Intuisco
pezzi di frasi:
«Ma che dobbiamo fare?
Oh! c'abbiamo il volo?!?
Lo volete capire?»
L'accento
partenopeo non li aiuta decisamente e la prof. incalza sostenuta dall'inglese
che non parla italiano ma si fa capire benissimo.
Intanto il fermato
dall'inglese assume un'aria da recluso di Alcatraz, un misto di rassegnazione
e di desiderio di fuga...
La lega italo-britannica
respinge gli splendidi
che sono costretti a mollare qualche metro di fila.
Qualcuno commenta a voce alta: «ma
scusate perché non fate il fast track?»
Sapevo
di questo servizio ma credevo che si trattasse di qualcosa che si compra
all'atto dell'acquisto del biglietto, non dopo e tanto meno lì, quando sei già
stato fregato...
Senti, senti scopro che in realtà si può accedere ad una fila molto
minore pagando solo 10 euro:
mi riprometto di approfondire.
LA DURA LEGGE DEL GOAL
Siamo giunti
nella parte terminale
dell'interminabile coda del terminal:
si vede la meta ormai, si è
confortati dal fatto che noi almeno ce
l'abbiamo fatta e con la tristezza mista al sadico piacere di chi è ormai
oltre.
Il recluso, il fermato dall'inglese,
ha un guizzo, alza gli occhi al cielo e con sguardo vuoto si infila tra le
transenne direttamente alla fila del metal
detector.
Si è salvato.
Riflessioni
sulla condizione umana gravano sulle nostre menti e sui nostri cuori:
Cosa avremmo potuto fare di diverso?
Come aiutare gli esclusi, gli “atterriti” e gli “atterrati” come
evitare che diventino altrettanti “atterroristi”?
Intanto però decido di approfondire sul fast track e fermo una hostess che mi conferma che sì, si può
fare al costo di 9 euro e lì alla cassa
a 10.
Come
tutti, mi annoto mentalmente che la prossima volta avrò almeno due opzioni:
1 opzione uno, alzarmi alle 3 come proposto dal mio simpatico Super-io
1 opzione uno, alzarmi alle 3 come proposto dal mio simpatico Super-io
oppure
2 opzione due, pagare 10 euro e respirare sereno.
2 opzione due, pagare 10 euro e respirare sereno.
Già ma se poi tutti
scelgono la seconda come farò ad evitare l'ulteriore coda?
Boh, chi vivrà vedrà!
LO SCOPRIREMO SOLO VIVENDO
Siamo al metal
detector, l'inglese che, sotto la sua giacca, rivela una camicia stazzonata
e fuori dai pantaloni, non ha messo la cintura nell'apposita vaschetta, cerco di aiutarlo come posso ma lui non fa
sconti, mi tratta come se fosse nel suo buon diritto – come in effetti è –
di avere una vaschetta aggiuntiva e non ha bisogno di aiuto.
Che palle però!
È tutto pieno ma siamo salvi e questa consapevolezza ci rende
pazienti e capaci di sopportare
tutto anche il fatto che ci trattano come viaggiatori
di terza classe rispetto a quelli che hanno usufruito del mitico fast track i quali entrano al metal detector come
se fossero iscritti ad un club
esclusivo.
GLI EROI DI HOGAN
Finalmente
arrivo al gate 10 minuti prima del
mio volo!
Ce l'ho fatta, è stata già
una lunga giornata.
C'è
uno dei miei compagni di prigionia che mi guarda severo, si ricorda ancora che
ho fatto il furbo.
Distolgo lo sguardo e chi
vi vedo?
La stangona
fotomodella, la probabile agente CIA
che aveva saltato la fila a piè pari, che placidamente seduta sta
sbocconcellando una colazione con tutta la calma del mondo. Aveva tanta fretta evidentemente di fare
colazione, penso amaro.
Vorrei telefonare
all'inglese e denunciarla ma faccio parte anch'io dei rei e non posso
permettermi una reclusione in un carcere britannico: devo mandare giù il rospo
morale.
Consegno il biglietto al gate, mi sembra il giorno in cui mi sono laureato e mi hanno
proclamato dottore: provo un grande
senso di liberazione. Io comunque sia ne sono fuori, ho vinto.
NON È TUTTO ORA QUEL CHE
LUCCICA
Mentre
assaporo questa ebbrezza, ecco che arriva un tizio ansante e trafelato: si
guarda in giro in cerca di un volto amico, gli sorrido, mi inquadra.
«C***o non si può cominciare così la
giornata, mi verrà un infarto e solo per prendere un aereo, e pensare che ho
fatto pure il fast track!».
Questo mi colpisce e gli chiedo perché ha dovuto correre se aveva comprato il magico
servizio saltacoda.
«Quella m***a di macchinetta si era inceppata
e non accettavano i contanti, solo carte di credito o bancomat e ci tenevano
lì.
Se fossimo rimasti in fila
normalmente, avremmo fatto prima…».”
Bisogna che riveda un
momento l'opzione due...
Voi
a questo punto penserete tante cose spero più gentili di:
«Ci hai fatto
perdere un quarto d'ora con sta p*******a” »;
«Se hai questo
dialogo interiore, ti sei rovinato da grande o sei caduto dal seggiolone»;
«Benvenuto nella
realtà, siamo circondati da s*****i e tu ne fai parte»;
«E così, hai
saltato la fila, brutto b******o».
Intendiamoci,
sono tutte reazioni comprensibili, però la sentenza peggiore, quella che
proprio non potrei accettare, è:
“Gli economisti hanno ragione”.
Quanto
precede non mi offende, - non può offendermi – perché umanamente contemplabile.
Rispetto alla mia salute
mentale, va detto che sono sposato con uno psichiatra, il che aiuta decisamente perché c'è il conforto del
tecnico a casa, pur appesantito dalla certezza della diagnosi che, invece,
disillude bruscamente.
No, il problema
vero è che invece potete credere a uno o più dei pareri che vi ho riportato nel
racconto, per intenderci dal neomalthusiano all'osservatore radicale.
Può sembrare un
problema da niente,
qualcosa per cui non vale la pena scrivere o procedere con la cultura ma crederci genuinamente e costruire la
propria/altrui esistenza o regolare la convivenza civile su basi
intellettualmente così piccole, ci toglie la speranza e, nello stesso momento, ci condanna
davvero al cinismo di cui l'economia si nutre.
IO E/O NOI?
IO E/O NOI?
Tutti crediamo
nel teorema che l'economia sia il perseguimento dell'interesse egoistico contro
quello sociale ma alla fine chi lo ha detto?
Chi
lo ha sancito per tutti noi e nello stesso tempo?
Perché dovremmo
accettarlo come se fosse un fatto atavico, ineluttabile, quasi “genetico” nella
razza umana e quindi incontrovertibile?
L'esistenza,
- e meno male!- è molto più complessa e varia di un pensiero solo tra l'altro
vecchio di secoli e mai veramente aggiornato: perché non dovremmo mettere in discussione
un teorema che pur nella sua apparente razionalità ci fa vivere meschinamente?
Si tratta solo
di ripensare e riprogettare anche se prima dobbiamo capire e darci una
direzione.
Questo
è lo scopo di questa serie di appunti.
Ma
lasciatemi spiegare perché l'ho fatta tanto lunga con aeroporti e code al terminal.
IL TEOREMA DELLA FILA IN ATTESA
Se
noi riduciamo la storiella
che vi ho appena raccontato e che avete avuto la pazienza di leggere, all'oggettività
del teorema, cosa troviamo?
In
un contesto puramente sociale, ci sono dei soggetti che interagiscono in
condizioni tali per cui le informazioni non circolano completamente e
perfettamente e le risorse vengono allocate non esattamente tanto da generare
la sensazione che siano scarse rispetto al richiesto e all'atteso.
La
frustrazione della domanda
– come direbbero gli economisti - e le poche alternative inquadrabili sulla base
delle informazioni in possesso della media dei partecipanti determinano una
condizione di rigidità e di difficoltà di cui tutti i soggetti possono avvertire la
limitazione.
La soluzione
economica più semplice
e che sembra risolvere, è quella di trasformare il bisogno così generato in un servizio di
cui si può godere proprio per evitare la frustrazione.
È proprio
semplice, basta pagare qualcosa in più e si è fuori dal problema: è la soluzione più
adottata oggi dall'economista o dal decisore pubblico e privato.
Dietro questa apparente
semplicità, ci
sono però tante importanti decisioni prese inconsapevolmente:
1 non si prende la frustrazione come un segnale ambientale da comprendere
bene per cambiare le cose,
si pensa che sia una variabile non eliminabile: è un dato ambientale e non un
segnale;
2 la generazione di un servizio per togliere la frustrazione determina la presenza di un gruppo di esclusi che dovranno subire la situazione in tutta la sua rigidità e a niente varrà l'aver tolto dalla quota totale i pochi che impiegheranno il servizio;
3 non si valutano alternative (progetti, proposte, idee) che possano rendere migliore la condizione di tutti: si rimane sull'idea del servizio che sembra essere più facilmente gestibile, senza pensare di poter fare meglio;
4 di fronte all'aggravarsi della situazione e all'incapacità di migliorare il servizio, l'organizzazione delle risorse si rivela insufficiente ma non si ritiene di poter intervenire con un'organizzazione di livello superiore: si pensa che i consumatori adotteranno strategie migliorative in quanto soggetti intelligenti o che addirittura il servizio, pur insufficiente, sia una nuova entrata;
5 banalmente non si forniscono nemmeno le informazioni di accompagnamento veramente in grado di cambiare la percezione del dato reale in modo, ad esempio informando del problema al momento del check in online;
6 il consumatore sarà quindi indotto ad una serie di scelte non creative tipiche dei contesti violenti che si tradurranno in comportamenti non capaci di migliorare la condizione stressante e che sono riconducibili a questi: accettazione rassegnata, accettazione rivendicativa, non accettazione con strategie di miglioramento individuale con poco danno degli altri, non accettazione con strategie di miglioramento individuale e danno maggiore per gli altri.
2 la generazione di un servizio per togliere la frustrazione determina la presenza di un gruppo di esclusi che dovranno subire la situazione in tutta la sua rigidità e a niente varrà l'aver tolto dalla quota totale i pochi che impiegheranno il servizio;
3 non si valutano alternative (progetti, proposte, idee) che possano rendere migliore la condizione di tutti: si rimane sull'idea del servizio che sembra essere più facilmente gestibile, senza pensare di poter fare meglio;
4 di fronte all'aggravarsi della situazione e all'incapacità di migliorare il servizio, l'organizzazione delle risorse si rivela insufficiente ma non si ritiene di poter intervenire con un'organizzazione di livello superiore: si pensa che i consumatori adotteranno strategie migliorative in quanto soggetti intelligenti o che addirittura il servizio, pur insufficiente, sia una nuova entrata;
5 banalmente non si forniscono nemmeno le informazioni di accompagnamento veramente in grado di cambiare la percezione del dato reale in modo, ad esempio informando del problema al momento del check in online;
6 il consumatore sarà quindi indotto ad una serie di scelte non creative tipiche dei contesti violenti che si tradurranno in comportamenti non capaci di migliorare la condizione stressante e che sono riconducibili a questi: accettazione rassegnata, accettazione rivendicativa, non accettazione con strategie di miglioramento individuale con poco danno degli altri, non accettazione con strategie di miglioramento individuale e danno maggiore per gli altri.
Per
l'economista il problema era già stato risolto con il servizio e
l'aziendalista, come l'operatore commerciale possono addirittura arrivare ad
ipotizzare un vantaggio competitivo e una frammentazione dell'offerta ottima
per produrre margine o economicità per l'azienda.
NON SPARATE SUGLI
ECONOMISTI
Io
non ce l'ho con la categoria degli economisti e proprio con nessun economista in
particolare, non ho motivo di rancore verso aziendalisti, politologi,
commercialisti, fiscalisti, decisori economici, statalisti, statistici,
statisti.
Lo
dichiaro apertamente: il mio nemico è il cinismo diventato regola di comportamento
razionale e auspicabile - perché di questo si tratta in ultima analisi – che
demotiva la gente a cercare soluzioni migliori e più capaci.
AIRPORT CASE HISTORY
Nel
caso in esame, il profilo delle decisioni assunte, probabilmente
inconsapevolmente e solo per routine,
produce una certa sfiducia da parte del consumatore che può cogliere la
possibilità più ampia di scelta che gli spetterebbe naturalmente e, per contro,
la riduzione del suo diritto ad un servizio a pagamento che grava su di lui per
consentirgli un semplice accesso al gate
e – si badi bene - non per un valore aggiunto reale.
L'economista, in
ultima istanza, crede che il consumatore sia solo accettante e rassegnato e che
si farà furbo con l'esperienza:
non immagina,
per esempio, che un soggetto possa decidere di non usare più l'aereo o quella
compagnia o che possa usare gli stessi servizi con comportamenti distratti e
negligenti che alla lunga deteriorano gli aeromobili o gli spazi dedicati più
in fretta di quanto sarebbe normale o, ancora, che addirittura arrivi a creare
strategie antisociali (i famosi splendidi o le agenti CIA) che aggravano la
condizione generale.
Sembra non
interessargli la sofferenza,
la lieve e la grande, come se non fosse un suo problema e nemmeno si preoccupa del fatto evidente che
tutto ciò produce una massa di consumatori scontenti che non adotteranno più i
servizi a valore aggiunto (il volo in questo caso).
Alla
lunga, la compagnia potrebbe essere costretta a determinare delle politiche di
attrazione della clientela con leve diverse, diminuendo il prezzo solo per
alcuni orari o combinazioni di tratte, con una fatica di progettazione
crescente.
Ma,
in fin dei conti, tutto questo si rivelerebbe temporaneo e inutile perché non
si è voluto considerare debitamente la variabile più importante: la dimensione
sociale.
Questa
ha poco a che fare con social media, sms inviati in orari assurdi o moduli
informatici di feedback, no, si comincia a
cogliere questa dimensione quando ci si propone di progettare onestamente il
servizio pensando davvero di essere uno di quei disgraziati che si
sono alzati alle 04.00 e volevano prendere l'aereo alle 07.10.
Francesco Bernabei
Credits
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