Cantautore, musicista, scrittore, leader e fondatore Ucroniutopia
Tu sei cantautore,
scrittore, fondatore e leader del
gruppo musicale Ucroniutopia, cosa significa oggi, nel nostro contemporaneo
fuggente, essere un artista?
Dacci la tua
personale definizione.
«Domanda difficile ma stuzzicante per un logorroico come me.
Iniziamo col dire che prima di essere un artista
bisognerebbe essere un uomo e questo è un percorso ancora più difficile in una
società come quella di oggi.
L'artista e l’uomo dovrebbero essere un tutt’uno, cosa che,
invece, da parecchio tempo è una rarità, trovo che questo sia un mondo dove il bipolarismo
trionfi senza grandi ostacoli
È frequente, ad esempio nell’ambito musicale, che un artista
canti una canzone contro il sistema attuale, cioè contro le banche o le
multinazionali (“i potenti della terra” per capirci), mentre nella realtà viva
in una condizione di benessere materiale invidiabile, conformato perfettamente
con la società che critica nei versi, spesso possedendo un conto in banca da
capogiro.
Da sempre le arti hanno rispecchiato la società del tempo: questa
è un civiltà decadente in tutto ed è anche per questo che l’arte oggi è
decadente e l'uomo come tale ancor di più».
La
Fabbrica di Uomini, il tuo ultimo disco, è un interessante trama di
racconti che si intrecciano nella voce del cantastorie, la tua, per narrare
storie che si fondono con la musica in un viaggio senza tempo, si potrebbe dire
che si tratti di un esperimento metaletterario teso a fondere la staticità
dello scritto con il movimento del ritmo musicale.
Com’è nato il disco e
quali sono i messaggi che racchiude?
«Il disco
prende il nome da un racconto, La
fabbrica di uomini, di Oskar
Panizza, uno scrittore italo americano, dove si immagina una società in cui
gli uomini vengono realizzati in un laboratorio.
Questo
racconto a mio modo di vedere somiglia molto ad esempio ad un altro romanzodistopico: Il mondo nuovo di Huxley, qui gli uomini
venivano creati in provetta.
Il filo conduttore del disco è sempre lo stesso, la disumanizzazione
provocata dal finto progresso che in realtà è un regresso a 360°: nell'arte, nel
cibo, nell'aria, soprattutto nella testa e nell'anima delle persone. Lo spirito degli uomini è morto, il grande
dilemma essere o avere si risolve oggi con una semplice formula tratta dalla
canzone Noi di Ucroniutopia “Dice un proverbio caro al potere, che l’essere
sta nell'avere”.
Oltre a
questo tema principale della spersonalizzazione ci sono anche altre storie.
Nel disco ci
sono 8 brani: il primo
è dedicato a Jules Bonnot,
l’anarchico francese che rubava ai ricchi per dare ai poveri, una sorta di Robin Hood in carne ed ossa; il secondo è
un valzer intitolato La Bomba,
liberamente tratto dalla canzone del grande artista francese Boris Vian (autore del
celeberrimo brano antimilitarista per
antonomasia, Le déserteur),
nella quale si racconta di uno zio che ha la passione di costruire bombe in
casa. La canzone è un mix di
provocazioni e ironia verso la classe politica che dalla notte dei tempi non ha
mai smesso di mangiare sul sangue altrui; poi Ora et Labora, il titolo svela l'ironia e la rabbia verso due
caste, quella clericale e quella statale, che si sono arricchite guidando il
popolo alla deriva con le loro finte massime del pregare e lavorare sodo, sì ma
per loro!; il quarto, Il canto dell''odio,
è liberamente tratto dalla poesia omonima di Olindo Guerrini,
grandissimo poeta italiano semi sconosciuto, dove si narra di un uomo
innamorato perdutamente di una donna che non lo degna neppure di uno sguardo,
quando lei muore lui si reca sulla sua tomba per dar sfogo alla sua carica di
veleno ed odio, con una poetica durissima che, in realtà, non è altro che il
suo cantare un amore infinito; L'Utopista
è una ballata che inneggia a seguire l'utopia, qualunque essa sia; il sesto è
una canzone speciale perché è stata scritta dal mio amico Claudio Lolli, cantautore
bolognese ben noto agli amici sognatori degli anni ‘70 grazie alle sue canzoni (come,
ad esempio, Borghesia, Ho visto anche degli zingari
felici, Michel e molte altre).
La canzone per il mio album tratta il tema della solitudine secondo la
“filosofia” lolliana: in questo mondo altamente tecnologico le persone, nei metrò o nei bus o per strada, non alzano più la testa perché sono persi dentro
ad aggeggi fatui (telefonini, tablet, etc) che ci illudono di non esser soli, anche se in realtà è il
contrario. Io, personalmente, penso che la solitudine sia una conquista ma, di
certo, non intendo questo tipo solitudine che oggigiorno pervade le nostre vite; Mezzolitro racconta la storia di un
ubriacone perso dietro alle sue canzoni ed al vino che dice, rivolto sempre al
solito interlocutore, “sono solo un
ubriacone, non sono un assassino”. Il testo è del mio amico cantautore
Aleandro Giori; il disco termina con un tributo a Rino Gaetano, una mia
versione della canzone Ma
il cielo è sempre più blu, ripresa da una registrazione del 2005, quando mi
aggiudicai il primo premio, proprio con questa cover, al concorso nazionale dedicato a questo grande autore
calabrese.
Insomma è il
tipico disco per l’estate!
Direi…acquistatelo».
Hai scelto per il tuo
disco la strada della produzione indipendente, perché?
«Per questa interessante domanda userò la risposta breve,
perché in Italia, secondo me, ci sono 3 modi per esser pubblicati e vendere:
utilizzare i soldi per arrivare; andare avanti grazie alle conoscenze, dire e
scrivere fesserie.
In realtà i politici scrivono dei testi bellissimi in questo
senso e anche alcuni religiosi non sono da meno, Platone parlava già qualche
tempo fa dell'anima dei doppiogiochisti, pensate da quanto tempo certi sistemi
funzionano in questo modo.
Comunque, per quanto mi riguarda, ho scelto questa via
proprio perché voglio essere fuori da questi circuiti, non voglio che si
accaparrino i miei diritti senza darmi nessuna garanzia, in sintesi io non
voglio essere preso in giro».
Quali sono i vantaggi
che ti offre, ovviamente secondo il tuo personale punto di vista?
«I vantaggi sono praticamente nulli dal punto di vista
promozionale ma molto gratificanti dal punto di vista umano e spirituale,
perché incontri la gente ai concerti e puoi guardarla in faccia, parlando e
ridendo insieme.
In questo modo fai una promozione di presenza, molto figo certo, poi, però, ti rimane il
dubbio se sia possibile vivere di umanità e spiritualità quando lo stomaco
brontola…».
Ne La Fabbrica di Uomini c’è una splendida
canzone, che parla di amori in sospeso e solitudini contemporanee, scritta e
musicata dal famoso cantautore italiano Claudio Lolli e da te interpretata,
raccontaci com’è nata la vostra collaborazione?
«Delle tematiche della canzone ho già parlato in precedenza,
per cui non mi ripeto.
Invece per quanto riguarda storie di vita vissute, ho
incontrato Claudio Lolli per la prima volta, intendo a livello professionale, 5
anni fa aprendo un suo concerto in Calabria grazie all’associazione Aspettando Godot di Pino Calautti.
Ero già innamorato delle sue canzoni da ragazzo e lo avevo
ascoltato in qualche concerto dal vivo ma, ovviamente, aprire i suoi concerti è
stata una grande emozione per me, perché l’ho sempre considerato un paroliere
formidabile, molto vicino alle mie idee ed alle mie sensazioni.
Poi, quando mi ha regalato il brano Il grande freddo, incluso nel disco, mi sono veramente emozionato,
mi son detto “Cavolo! sto cantando le canzoni
di Claudio Lolli, con cui sono cresciuto”.
Nel mio piccolo ho tentato di interpretare il brano secondo
il mio personale “sentire”, alla fine sono rimasto soddisfatto del mio lavoro,
ai posteri comunque l’ardua sentenza».
Quanto le
collaborazioni d’autore possono arricchire il proprio lavoro e la propria
professionalità?
«Moltissimo.
Arricchiscono molto sia dal lato umano, sia da quello
professionale.
Da soli nella vita non si fa nulla.
In effetti, a pensarci, si può stare anche da soli ed avere
sempre ragione credendo che la vita sia questa, si può morire felici anche così…».
Il percorso creativo
è un complesso ed affascinante mistero che oggi, a volte, viene svalutato e
mercificato a discapito della sua grande potenza energetica e della libertà
creativa ed espressiva.
Come nasce, si
sviluppa, da dove trae ispirazione il tuo percorso creativo, quale strade segui
per arrivare dall’idea alla sua realizzazione concreta?
«La creatività ha poco a che fare con le vendite, è un dono immateriale.
Io credo che in tutte le epoche ci siano stati molti talenti
sprecati, perché molta gente che trasforma in mito certi fenomeni della musica,
della pittura, della letteratura, in realtà sia indotta a crederlo perché il
sistema questo gli propone.
Provate a mettere un violinista di fama internazionale in
strada, scommetto che oltre a qualche complimento e 4 spicci tornerà a casa con
la pancia vuota e l’orgoglio distrutto.
Dico questo perché è già successo, solo non ricordo chi fosse
l’artista che l’ha sperimentato sulla sua pelle.
La mia creatività, forse, è ereditaria, mio nonno scriveva
poesie che praticamente erano delle ballate.
Sicuramente essere creativi è un dono, sinceramente non so
ancora fino a che punto lo sono, ma credo che sia difficile esser creativi in
una società dove il cervello viene spento accendendo la TV, i computer e altre cazzate del genere».
In Italia la Cultura,
intesa a 360°, non ha molto spazio e, soprattutto, non ha l’attenzione che
merita, seppure sia uno dei punti più forti del nostro Paese, oggi come per il
futuro, qual è la tua personale ricetta per dare una decisa e forte spinta in
questa direzione?
«Diciamo che io personalmente per cultura intendo ciò che si
avvicina alla madre terra, una cultura ormai persa da generazioni e, a parte le
rappresentazioni dei nostri lontani antenati, credo che si faccia un torto a
chiamare cultura quello che oggi viene proposto.
Posso dire che per me l'unica soluzione è quella in cui
ognuno, nel suo piccolo mondo personale, dia un contributo per ritrovare il
nostro lato umano perduto, allora, poi, io credo che la creatività e la cultura
nasceranno spontaneamente strada facendo.
Forse, la soluzione sta proprio nell'uscire da questa Fabbrica di Uomini?».
Indicaci le 5 regole
d’oro per diventare un artista di successo senza perdere mai di vista la propria
identità.
«Non Essere Come Gianluca Lalli».
Barbara Saccagno
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