Ideatore e autore de La Musa Offesa, presidente di Eunomica
http://eunomicaapc.blogspot.it/p/la-musa-offesa.html
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Francesco Bernabei sei un uomo poliedrico, fra i
tanti progetti che idei e realizzi c’è anche un “libro”, o, forse meglio, un
“meta-libro”, dal titolo accattivante La Musa Offesa, ci presenti la protagonista?
«Io non sono scrittore nel senso pieno del termine, perché non ritengo di
possedere una capacità di scrittura tale da creare un prodotto “artistico”
buono, scrivo per necessità.
Scrivo per esprimere dei
concetti che sono la sintesi elaborata lungo i miei percorsi culturali, diciamo
che sono l’output del mio lavoro di
sviluppatore sociale, o meglio culturale, che si occupa di sviluppare un
concetto culturale per mezzo di azioni o proponendo delle idee.
Quando, però, tratto
un’idea che può cambiare il software
del sistema culturale devo scrivere, sono costretto!
Anche perché è l’unico modo per lasciare a tutti la
possibilità di inserirsi nell’ottica dell’idea, comprenderla e condividerla.
Per questo La Musa Offesa è un libro open source, dove si può entrare
facilmente perché si conosce il codice sorgente ed, inoltre, se l’avessi
impostato come un saggio di economia classico, avrei di certo perso del
pubblico: io per primo, ad esser sincero, mi sarei annoiato perché l’economia è
sempre presentata in modo “palloso”, mentre a me piacciono i giochi e così l’ho
trasformata in un testo diverso che sicuramente mi ha dato modo di incontrare
un numero maggiore di lettori.
Riguardo alla Musa che
porta il nome di Eunomia Εὐνομία - che credevo di aver inventato io elaborando termini di origine greca
seguendo la logica del suo significato intrinseco - , ho poi scoperto che esisteva già nella mitologia
classica: essa è, di fatto, la voce della coscienza collettiva, creata ovviamente
dall’autore ma che si rivolge a tutti, spiegando le logiche economiche partendo dal “buon
senso”.
Eunomia è anche un asteroide che passava per una
curiosa e casuale congiuntura astrale il giorno in cui ho deciso di iniziare a
scrivere il testo con il suo nome: questo mi è parso “un segno” positivo.
La Musa non dà risposte
concrete ma alza il livello culturale insegnando a guardare ai paradigmi
precostituiti dell’economia in modo diverso, ad osservarli meglio perché,
forse, anche noi contemporanei dovremmo chiedere a lei l’ispirazione per
trovare risposte migliori in campo economico, come facevano nell’antichità aedi e cantori».
Quando e perché hai deciso che era giunto il
momento di scrivere la tua visione dell’economia sociale in forma di racconto?
«C'è stato un momento preciso in cui tutti mi
chiedevano del materiale scritto di approfondimento ed io non ne avevo molto,
tra l’altro alcuni testi erano quasi introvabili o, comunque, non facilmente
reperibili.
Anche gli amici mi
suggerivano di scrivere ma io avevo delle remore, perché quando scrivi occupi
dello spazio ed inoltre si tratta di un processo d’incontro fra l’autore ed il
lettore e dovresti avere dei lettori interessati.
Il momento è arrivato
nel 2007, quando ho dovuto mettere in chiaro gli output culturali che avevo raccolto e non trovavo il giusto
approccio: allora ho deciso di scrivere un racconto dedicato all’economia, non
ho scelto il saggio tout court perché
non mi ritengo un esperto di economia tale da poter stendere un testo tecnico
specialistico.
Quell’anno ho scritto
buona parte del libro ed ho iniziato a farlo circolare tra persone interessate
all’argomento: questo posso dire che è stato l’incipit de La Musa Offesa».
Spiegare i concetti basilari dell’economica, reale
e sociale, di fatto semplici e, forse, per questo così complicati da chiarire,
non è una cosa facile; come sei riuscito a trovare la chiave d’equilibrio fra
il contenuto di spessore, più adatto ad un saggio, e la forma più leggera e
ironica del racconto letterario?
«Il racconto permette all’autore di costruire delle situazioni pratiche
dove immaginare il protagonista e gli altri personaggi inseriti in determinati
frangenti o circostanze: queste situazioni artificiali hanno il pregio di
facilitare la spiegazione dei concetti meglio di altre tipologie di testo.
La Musa fornisce delle
risposte alle domande che le vengono poste oppure dà delle idee mentre il co
protagonista, il precario in crisi è quello che vive il problema economico
contemporaneo, è il soggetto attivo.
Il loro confronto, scritto
con un ritmo divertente, è elaborato con un sistema di scatole cinesi, dove in
ogni capitolo si affrontano temi riguardanti i fondamenti dell’economia.
Alla fine non hanno risolto
le grandi questioni ma i personaggi danno modo di avviare una riflessione
diversa, aprendo nuovi scenari.
Se ci sono davvero
riuscito, non lo so, posso dire di essere soddisfatto, forse, si può fare di
più ma, essendo un libro open source,
potrò rimetterci le mani in futuro e ripensarlo in altra maniera».
La Musa Offesa non è
un libro nel senso tradizionale del termine, è più un esperimento di cultura
compartecipata, di conoscenza trasversale di concetti fondamentali per l’economia
e la cultura sociale. Un racconto/romanzo, un dialogo in divenire.
La Musa Offesa è
mutato dalla prima versione, si è arricchito sotto la guida dell’autore, si è
trasformato, dalla prima stesura a quella attuale, attraverso l’interscambio di
esperienze e di idee degli “Al.”, i
co autori che in forme, tempi e modi diversi vi hanno partecipato.
Ma non può nemmeno dirsi un testo a scrittura
collettiva in senso totale.
Vuoi spiegarci esattamente cos’è il progetto La Musa Offesa?
«Allora, il progetto
nella sua linea teorica è la tappa intermedia del cambiamento sociale che porta
l’economia ad essere appunto un fatto sociale: in linea pratica ha
originato l’Associazione Eunomica,
nata con un gruppo di lettori del libro, convinti che si potesse ragionare su
queste questioni seguendo un percorso meno dottrinario e più collettivo o
compartecipato.
Il libro è uno strumento
secondario, forse non è necessario leggerlo, perché con Eunomica ci sono progetti concreti che seguono le riflessioni del La Musa Offesa.
Il racconto non è stato
per adesso un’occasione di scrittura partecipata perché non sono riuscito a
mettere veramente in pista questo sistema di scrittura: intendiamoci, ho
ricevuto tanti consigli e letture critiche di cui sono grato ma non ritengo sia
un esperimento ancora riuscito di scrittura collettiva.
È comunque uno strumento
ideato per aprire la via della partecipazione, forse, è questa la vera anima de
La Musa Offesa».
È passato, ormai, un po’ di tempo dalla prima
stesura a all’ultima.
Il libro è stato letto, modificato, ripensato, ha
avuto, e ha, una sua vita letteraria ben definita: che bilancio ne trai, ad
oggi, del percorso de La Musa Offesa?
«È stato letto da qualche
centinaio di persone, un tempo, all’inizio, tenevo il conto dei lettori per
capire come si potesse muovere un libro nato dal nulla, senza supporti
editoriali, sono arrivato a contarne sino a trecento, ho avuto diversi feedback tecnici di lettori interessati
ma non sono uno scrittore e seguo logiche diverse: di certo volevo che fosse
letto.
Il risultato positivo è
che è stato caricato sul Web dal 2008 ed è ancora letto, alcuni mi fanno ancora
domande sulle tematiche espresse nel libro.
Non so se avrà un futuro
ma mi piacerebbe un giorno continuarlo, d’altronde nella prima stesura il
precario non aveva nemmeno un nome, la Musa rimaneva sospesa fra il reale e
l’irreale e la fine è stata scritta a distanza di anni: una scelta dettata dal
desiderio di dare un equilibrio al racconto, per non mandarlo in crash.
Ma se penso alle opere di
Jean Jonò, l'autore dell'Uomo che piantava gli alberi, dove uno stesso
personaggio muore e ricompare vivo in un’altra storia, mantenendo le sue
peculiarità, allora posso pensare di riaprire La Musa Offesa in futuro.
Sicuramente mi sono stati
dati idee e spunti per il libro, più che interventi veri e propri, così il
testo ha mantenuto la sua identità di testo “teatrale” come è stato definito, ma di fatto
quello che voglio è che il suo percorso sia quello di Eunomica, ossia quello
che dovrebbe essere l’economia contemporanea».
Perché hai scelto di non pubblicare La Musa Offesa con un editore
tradizionale, né con il self publishing,
ma hai optato per una libera circolazione del testo, disponibile solo on line in free download?
«Vi è mai capitato di
volere leggere un testo ma o costa troppo e non puoi permettertelo oppure non è
facilmente reperibile? A me sì e molte volte!
Ecco, quando ho deciso di
scriverlo ho pensato a tutti quegli autori che mettono a disposizione sul Web i
loro testi gratuitamente ed alla frustrazione di non riuscire a recuperare
libri datati, fuori commercio o difficilmente disponibili on line.
Volevo fare della cultura
e renderla liberamente, e facilmente, disponibile, senza pagare nulla, come
hanno fatto i vecchi internauti, che ringrazio, mettendo in rete testi preziosi
ed importanti ma poco accessibili.
Inoltre è il biglietto da
visita dell’Associazione Eunomica, è
dal nostro sito che si può scaricare in download.
Avrei potuto pubblicarlo,
ci sono state delle possibilità, ma alla fine ho deciso di non farlo perché
l’avrei reso più debole e poi ho pensato alla generosità, perché è un’apertura, se
tutti diamo qualcosa quando ne abbiamo ragionevolmente la possibilità, allora
c’è scambio, altrimenti se ci chiudiamo non abbiamo più la possibilità di
scambiare nulla.».
Nell’antichità la Dea era colei che presiedeva una
precisa attività/azione/sentimento umano o naturale, colei che proteggeva e a
cui chiedere perdono o invocare l’aiuto (così come colei che puniva, se lo
riteneva opportuno, naturalmente), mentre la Musa sovraintendeva le Arti, era
colei che donava l’ispirazione divina all’uomo per creare.
Nel racconto Eunomia possiede entrambe le
caratteristiche, quindi, a lei ci rivolgiamo indirettamente, a te direttamente,
cosa dovremmo fare oggi, a livello di buona economia, per uscire da questa
crisi, più creata a tavolino che reale, o, per lo meno, per iniziare a cambiare
il punto di vista?
«La prima cosa che mi
viene in mente da dire è che quando crei l’espediente letterario della Musa vuoi
spingere a guardare in alto, alzando il livello, il contrario esatto di cosa fa
l’economia oggi, che toglie all’altro i beni necessari per seguire le leggi del
mercato, invece, si dovrebbe scambiare a livello paritetico: in questo modo tutti sono
“contenti” perché si genera un equilibrio.
L’equilibrio deve essere alla base
del concetto tecnico che regola il mercato, perché così questo funziona meglio, come stanno dicendo negli ultimissimi
anni alcuni economisti, sebbene tanti la definiscono ancora pura utopia: ma, in
ultima analisi, perché mai?
E chi può dire davvero,
assumendosene la responsabilità che non sia davvero così?
Oggi bisogna lavorare sui
fondamenti dell’economia e metterli in dubbio, a partire, ad esempio, dalla
povertà artificiale creata a vantaggio della ricchezza, i vantaggi truffaldini
che regolano la moneta ancora oggi, la competizione e via dicendo.
Ipotizziamo di essere tutti “amici”
e volessimo o dovessimo creare una situazione di mercato, faremmo davvero come
facciamo oggi?».
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