Presidente dell'Associazione Arcipelago Piemonte
e CTA presso piemex.net/
Cos’è e
come funziona lo SCEC?
«Buongiorno Barbara, e grazie per l'invito a
parlare di questo strumento.
Cercherò volentieri di dare qualche indicazione
utile, convinto come sono che è sempre più importante riflettere su alcuni concetti chiave
come quello del denaro, ma anche e soprattutto sul concetto di valore.
Troppo spesso infatti ho notato che,
parallelamente a discettazioni più o meno corrette sul funzionamento del
denaro, si affiancano proposte a mio avviso dal respiro corto, nel senso che si
occupano di trovare modi alternativi per immetter semplicemente nuovo denaro
nel sistema, attualmente asfittico. Le conseguenze di un approccio così inteso
rischiano di essere inaspettate dagli stessi promotori: si rischia, in estrema
sintesi, di fornire una stampella a un capitalismo che dovrebbe viceversa esser
lasciato morire di morte naturale, o meglio riformato dalla radice, a partire
dal concetto di valore.
In questo panorama così variegato, che parte
dalla critica all'attuale sistema socio-economico, i progetti delle cosiddette “monete sociali” (termine che vuole escludere le monete
complementari/alternative/locali di pura vocazione di business), si staglia con nettezza il progetto di Arcipelago Scec, proprio per un'intuizione valoriale che discosta di molto da
altre iniziative.
In estrema sintesi, lo Scec è il simbolo di un accordo tra persone, associazioni,
aziende, enti locali e istituzioni in generale, che si accordano appunto
per utilizzare lo Scec (una sorta di “unità di misurazione di valore”
ad adesione volontaria) per agevolare degli
scambi economici e sociali che promuovono un nuovo
modello di sviluppo, che non è inteso come crescita nella produzione di
beni, ma come crescita
della convivialità per dirla con Ivan Illich, precursore di ragionamenti fondanti la
recente convergenza attorno all'apparentemente tautologico concetto del “buen vivir”.
Lo Scec viene emesso a
livello nazionale da un'associazione senza scopo di
lucro (Ass.
Culturale Arcipelago Scec), che è articolata a sua volta in varie
associazioni regionali, per avvicinarsi alle reali condizioni di sviluppo del
circuito.
Cosa vuol dire emesso?
Vuol dire che esattamente come il denaro, è
messo in circolazione per agevolare gli scambi. Solo, il meccanismo di
emissione è antitetico al meccanismo usato dal denaro, e anziché esser
addebitato alla comunità che lo utilizza (come succede per euro, dollaro e via
dicendo), lo Scec
viene al contrario accreditato, o emesso a fronte di prestazioni con un valore
sociale riconosciuto.
Se il debito (moneta a corso
forzoso-obbligatorio) crea sfiducia, e le sue conseguenze (la coperta che si fa
sempre più corta, per sintetizzare) creano competizione, il credito
viceversa (così come la volontarietà rispetto all'obbligatorietà) crea fiducia e
collaborazione.
Accettare lo Scec
vuol dire far
parte di un patto sociale che ha queste premesse, per cui il suo
sviluppo potrebbe portare alla valorizzazione di alcune pratiche come il
volontariato e i suoi connessi valori, così
come la fiducia e la solidarietà
in senso lato.
La portata culturale
di questo progetto è enorme, perchè è un ponte
verso l'economia
del dono, che si concreta quando “vesto” il denaro di
un patto sociale diverso. Invece che “sterco
del demonio”, il denaro può diventare strumento utile a svilupparci ma sul
serio: non quindi uno strumento per costruire più macchine del nostro vicino,
ma uno strumento per evolverci umanamente.
Lo Scec, una volta messo in circolazione, viene
utilizzato per “misurare” lo sconto (fino ad un max del 30%) che le aziende o
professionisti con p.iva vogliono riconoscere agli aderenti allo Scec. Lo sconto
così viene pagato in Scec e risulta fuori dall'imponibile (essendo un buono sconto
fiscalmente riconosciuto come tale), così l'esercente
che ha fatto gli sconti non ha perso potere d'acquisto (nel caso in cui
riesca a rispendere gli Scec nel circuito) e
anzi ha abbassato l'imponibile per ogni singola unità venduta.
C'è da dire anche, però, che con una politica
di sconto così impostata, anche nuovi clienti vengono
attirati (perchè potranno pagare una parte del prezzo in Scec, che gli son stati regalati, o che hanno
guadagnato con un'azione virtuosa), quindi il gettito
fiscale complessivo aumenterebbe addirittura, con buona pace di quelli
che per partito preso si propongono di difendere il sistema esistente
nonostante le evidenti assurdità che comporta. Non apro certo qui il tema
fiscale...ma ho fatto questo esempio solo per indicare che il realismo che si ferma fino alla punta del naso, è più pericoloso
della cecità totale, per dirla con Dostoevskji.
Gli Scec possono anche esser usati
al 100% quando l'accettatore non esercita l'attività con una p.iva associata: si aprono quindi gli
spazi per incentivare lo scambio di beni usati (o riparati!), o per dare luogo
a scambi di prestazioni lavorative che siano più variegate di quanto
normalmente può esser possibile con le BdT (banche del tempo), dove per principio
fondante ogni ora di lavoro vale quanto qualunque altra (tagliando però fuori
chi ancora non ha raggiunto tale livello di illuminazione...soprattutto se
appartenente a mestieri per cui una grande preparazione o responsabilità rende
giustificabile un maggior costo orario).
Anche come innesco di
una nuova attività, o per agevolare
soprattutto le associazioni nello svolgere le
loro attività (già in linea con la visione promossa da Arcipelago
Scec) lo Scec potrebbe svolgere un ruolo cruciale. Tutto questo, a patto che si venga a
conoscere lo strumento e la visione, e che ognuno se
ne faccia ambasciatore in prima persona!».
Dacci una
tua personale definizione di “costruttore del nuovo”
«Cavolo...non l'ho formulata io, ma la
sottoscrivo in pieno.
L’economia del dono viene spesso sottostimata perché misura
un valore che si svincola dal sistema finanziario in atto, perché misura
qualcosa che non può essere calcolato secondo le regole vigenti poiché non
genera reddito e ricchezza, eppure nella realtà sono valori fondamentali per lo
sviluppo e la sopravvivenza di ogni contesto sociale. Di fatto ogni comunità,
in scala micro e macro, si basa proprio su questa silente economia per
continuare ad esistere, basti pensare, ad esempio, al valore tempo che ogni
individuo mette a disposizione nelle sue connessioni quotidiane e che, al
contempo, riceve in cambio. Possiamo
misurarlo dandogli un giusto valore?
Possiamo definirlo un gesto economico che apporta benefici,
che produce qualcosa, che aumenta il potenziale esistente?
Qual è il tuo pensiero in merito all’economia del dono?
«Mi
scuso in anticipo per non riuscire a condensare in una risposta il mio
pensiero...ma proverò un'operazione di sintesi.
Con la tua
domanda hai centrato in pieno gli aspetti che rendono difficile concepire
alcuni aspetti della vita quotidiana come portatori di valori economicamente
intesi come tali.
La
misurabilità ha ipso facto a che
vedere con il concetto di quantità, mentre i valori dell'economia del dono sono senza dubbio incentrati
sull'aspetto qualitativo del valore. A questo
proposito, vorrei ricordare in breve cosa è successo all'utopia di Keynes
sulla capacità di redenzione del capitalismo: nel
1928 davanti ad una platea di studenti l'illustre economista dipinse i contorni
della sua personale utopia riguardante il capitalismo. Sosteneva infatti che il
capitalismo fosse necessario come “fase transitoria” per incanalare le
degenerazioni umane in funzione di una produzione efficiente di prodotti e
servizi (la vecchia idea di Smith e poi Mandeville,
di vizio privato come pubblica virtù). Nel giro di 100 anni l'aumento di
produttività avrebbe donato all'umanità la possibilità di vivere in pace, riducendo
in modo sostanzioso il tempo dedicato all'attività lavorativa. Le previsioni di
Keynes sulla produttività si sono avverate...ma l'uomo non è stato in grado di
saziare il suo appetito con i beni a sua disposizione, poiché al di là dei beni
“necessari” ad una vita dignitosa si affiancarono ben presto, per poi prendere
il sopravvento, i beni “posizionali”, il cui senso è legato indissolubilmente
ad un'idea di supremazia su altre persone. Succede così che beni “di moda”
(desiderati perché altri ce li hanno), “snob”
(desiderati perché altri non li hanno) e dei beni “Veblen”
(la cui funzione è quella di esser una sorta di “pubblicità” della ricchezza,
perché valutati in base al loro costo prima di tutto) hanno reso impossibile
sostenere una crescita in termini di benessere che accompagnasse una crescita
produttiva.
È successo
invece l'opposto, e non si vede come la situazione potrebbe cambiare, anzi la
spirale degenerativa è già ben evidente: se traiamo soddisfazione da una posizione
di superiorità invece che da una sensazione di appartenenza e condivisione,
siamo destinati ad avere eterne frustrazioni come specie umana. Solo un cambio paradigmatico che porti alla luce i valori più
“sottili” e meno grossolani può invertire la tendenza.
L'economia del dono in particolare è strettamente legata al tema
delle monete sociali, perchè implica l'instaurazione di un rapporto fiduciario, che è lo stesso che permette all'economia del dono di funzionare, di
fatto avvicinando l'umanità a quell'utopia che è alla base della migliore
letteratura anarchica: l'uomo svincolato da obblighi che per spirito di amore
verso il suo prossimo libera finalmente la sua parte spirituale (se mi si
consente il termine) per completare un'evoluzione che sempre più appare urgente non più in
termini di crescita materiale, quanto di crescita interiore.
Sciolto il
patto faustiano del capitalismo (che
in Goethe,
in piena rivoluzione industriale ha un lieto fine, ovvero l'anima di Faust
che va in paradiso per le buone intenzioni, mentre posteriormente, dopo la
seconda guerra mondiale con Mann finisce per impazzire, ovvero la versione
laica dello status infernale), l'uomo che vive secondo l'economia del dono
può ambire a stringere un patto con la sua parte celeste, dove non ci sono
contraddizioni tra mezzi e fini.
Quanto appena
scritto credo possa far intuire quanto sia difficile il passaggio cui stiamo
tendendo, ma al contempo può mitigare la paura di non trovare un “giusto
corrispettivo” per attività che per loro natura hanno poca vocazione a esser
quantificate dunque paragonate. Ciononostante, soprattutto in una
fase di transizione verso questo modello credo sia di importanza capitale
creare modelli di riferimento trasparenti innanzitutto, per raccogliere e
modellare il nuovo sistema a seconda del valore percepito dalla comunità di
riferimento».
La crisi
ormai cronica che attanaglia il mondo in generale e l’asfissia auto generata
del mercato, paralizzato per la mancanza di fiducia che frena la circolazione
di denaro, ma anche di idee e di sfide da intraprendere, ci ha spinti a
ricercare nuovi sistemi alternativi che possano muoversi in parallelo cercando
di cambiare i paradigmi finanziari attuali rimettendo al centro il capitale
umano quale punto imprescindibile di partenza per ripartire ricostruendo
un’economia capace di misurare il valore in modo equo. Le monete complementari
e Arcipelago Scec sono parte di questa evoluzione, tu ne sei profondo
conoscitore e parte attiva, per cui hai il polso della situazione, puoi dirci a
che punto stiamo oggi?
«Ehm...no.
Intendiamoci,
quello che intendo è che la quantità di variabili è tale da rendere pretenziosa
a mio avviso qualunque previsione sull'evoluzione di questi strumenti. È
possibile tracciare vari scenari, ordinati per probabilità, ma sono certo che
questa classificazione per ordine di probabilità potrebbe trovare innumerevoli
discordanze.
Ora che ho
scansato il ruolo di Cassandra, dico
la mia senza pretendere di aver l'ultima parola: l'uomo si muove per
soddisfare delle necessità, e le necessità più tradite in questo periodo
storico (almeno nel nostro mondo occidentale) sono quelle rappresentate da
valori “umani” e non materiali.
Da qui, il mio ottimismo
sull'evoluzione di queste dinamiche, che sono in grado di ristabilire un certo
equilibrio tra necessità “de panza” e
quelle “de core”.
Ora si assiste
ad un gran fermento, e anche a livello istituzionale ci sono certe aperture,
anche se ristrette a progetti meno destabilizzanti di quanto può esser Arcipelago Scec.
Guardo con
interesse anche l'esperimento di Faircoop,
che vorrebbe creare una piattaforma cui tutta l'economia anticapitalista
mondiale possa convergere e creare valori in grado di sovvertire gli equilibri
(precari a dir poco) attuali, anche grazie ad una criptomoneta (Faircoin) che sembra poter eliminare o quanto
meno mitigare gli aspetti più contraddittori di Bitcoin e compagnia cantante.
L'Europa e
l'Italia in particolare sono in una posizione privilegiata per esprimere con
forza alternative percorribili, il cui successo è legato a filo doppio alla
capacità che avremo di unire i mille rivoli del cambiamento in una direzione
coordinata. Ed il
coordinamento passa attraverso il patto sociale necessario a una nuova
fattispecie monetaria, in grado di promuovere quanto sopra».
È quasi
sintomatico che quando si parla di gratuità, solidarietà sociale, scambio e
persino di fiducia ci sia un atteggiamento iniziale piuttosto diffidente,
sovente anche da parte di coloro che più dovrebbero afferrare il concetto,
probabilmente molto è dovuto ad una forma mentis che ci è stata inculcata e che
ci porta a temere qualsiasi cosa esca dai binari che ci propongono come gli
unici possibili. Tutto quello che è semplice, logico e di fatto parte della
nostra storia umana oggi ci sembra lontano ed inattuabile, siamo sempre tentati
di primo acchito di chiuderci in difesa, evitando di conoscere. Altre volte, una sorta di chiusura arriva
anche da chi propone la condivisione e lo scambio per cambiare il sistema verso
chi “non vuole capire”, questo però lascia di fatto dei vuoti che si dovrebbero
cercare di colmare, perché acculturare è un passo fondamentale per cambiare.
Avendo tu una lunga esperienza, qual è la tua personale ricetta per riportare
la fiducia al centro dei rapporti sociali che comprendono ovviamente anche
quelli economici e culturali?
«Hai
toccato un altro punto cruciale. Un vero e proprio nodo
gordiano in realtà, che necessita di un
taglio netto con quanto abbiamo appreso, per approdare ad una dimensione nuova, e non semplicemente un nuovo vestito
su un corpo malandato.
E' altrettanto
vero che un atteggiamento prometeico
o giudicante ostacola questo passaggio, per cui credo che il processo ideale
sia quello intrapreso dal gruppo de Italia Che Cambia: i ragazzi che hanno iniziato a mappare le realtà del
cambiamento in Italia e che ora, caso più unico che raro, hanno guadagnato il
rispetto e la credibilità da ogni realtà che hanno toccato.
Come hanno
fatto?
Beh, innanzitutto
hanno
iniziato riconoscendo il buono che c'era nelle realtà esistenti. Questo ha permesso di instaurare un dialogo, che altrimenti sarebbe stato compromesso.
Riuscire a empatizzare con i nostri interlocutori è
fondamentale, per cui suggerirei semplicemente di agire in gruppo per quanto possibile, adottando sistematicamente
processi di facilitazione per agevolare una comprensione più profonda, e
soprattutto perseguire una creazione di reti di supporto che partano dalle
associazioni di persone, e da reti già esistenti di persone che si conoscono e
si stimano.
La fiducia si instaura con l'empatia e non con il giudizio, ma la nostra mente raziocinante, il nostro emisfero
cerebrale sinistro (e maschile...) che è sovra-sollecitato non ha gli
strumenti per uscire da questo vicolo cieco.
In pratica,
c'è bisogno di dare respiro al nostro emisfero
cerebrale destro, emotivo e femminile, capace di intuito e di connessioni
profonde. Anche il linguaggio non è adatto a questo (in queste risposte ho spesso parlato di “uomo” per intendere “umanità”,
per esempio..), ma se è vero che siamo entrati in una fase di cambiamento
astronomico, chissà che non possiamo aprirci anche a questa spaventosissima
possibilità: abbandonare l'approccio rapace e predatore tipico di una mente
calcolatrice e adottare l'approccio amorevole e di condivisione che fa pur
sempre parte di noi, anche se a fatica riusciamo a immaginarcelo come capace di
soppiantare il modello esistente.
Ma tornando ai
ragazzi de Italia Che Cambia, che
cosa hanno fatto loro?
Hanno
introdotto concetti (maschio) o ricevuto stimoli (femmina)? “La seconda che hai detto” direbbe Guzzanti...».
Quali
sono secondo te i punti più deboli da sviluppare in Arcipelago Scec per
potenziarlo e per migliorare la sua diffusione concreta?
«Credo
di averli nominati in ordine sparso sopra, ma li riporto qui per comodità:
bisognerebbe innanzitutto riuscire a coinvolgere
le associazioni, prima di
tutto conoscendole e apprezzandone lo sforzo, per poi semplicemente offrir loro
la possibilità di adottare uno strumento nuovo nella loro progettazione, che
permetta loro di perseguire con più efficacia e coerenza i loro fini sociali.
A cascata, con
una maggior partecipazione, crescerebbe
anche l'efficacia nella gestione dello strumento stesso, e ci scommetto anche
nuove possibilità di utilizzare lo Scec
in contesti che magari ancora non abbiamo immaginato.
A livello
personale, gli attivisti di Arcipelago
Scec vorrei sapessero adottare il sopra citato approccio
femminile, anzi materno. Senza di questo sennò come
può nascere qualcosa?».
Tu hai
conoscenza diretta dei sistemi di economia sociale dell’America Latina, dove
sicuramente le condizioni di vita e le risorse sono certo meno “ricche” delle
nostre economie occidentali, quali sono le differenze fra il nostro pensiero ed
il loro e cosa dovremmo imparare dal loro esempio per riuscire finalmente ad
uscire dallo stallo economico che prima di tutto è mentale?
«La dimensione comunitaria sembra esser più vicina a chi
non vive nell'abbondanza materiale.
Lo stesso Kropotkin scriveva le sue
pagine più alte avendo davanti a sé una società la cui povertà di mezzi rendeva
quasi inevitabile una collaborazione, pena la morte.
Quello che ho
visto con nettezza è che si riesce in quei contesti a ridimensionare l'ego ipertrofico che inquina la nostra
società, che è fondamentalmente individualista.
La dimensione comunitaria assume un valore superiore, che
sublima in qualche modo gli sforzi individuali, armonizzandoli.
La nostra società
viceversa sembra un'orchestra di virtuosi musicanti...che però suonando senza
ascoltare gli altri creano cacofonia e
frustrazione per i risultati che ben lungi dal sommare le singole capacità
sembrano vanificare degli sforzi individuali notevoli.
Mi piace pensare alla permacultura nei termini più radicali, e per progettare una società secondo le indicazioni che ha dato questa
nuova branca di studi, è essenziale utilizzare al meglio le energie a
disposizione.
Dunque, è ora
di prendere atto di questa semplice constatazione: chi fa da sé...si sta
masturbando».
Quanta
diseconomia di scala c’è in quello che noi pensiamo economico?
«Rispondo
con un'immagine.
In fondo,
riassume abbastanza bene il fatto che il nostro concetto di “efficienza
economica” è ben distante dall'effetto “a cascata” che ci si ostina a indicare
come risolutivo.
In termini più
generali poi, la discussione potrebbe esser fuorviante, perchè dovremmo
analizzare la gestione delle risorse per rispondere adeguatamente a questa
domanda, ma per non cascare in ragionamenti utilitaristici mi limito ad
indicare che una
società così disuguale non può esser né pacifica né improntata al “buen vivir”.
Neppure per quei pochi in condizione di ricchezza, che al contrario di quanto si possa pensare sono ben lungi dal poter
stare rilassati nel loro benessere materiale, costantemente minacciato da chi
compete per rubargli un posto
al sole». Immagine tratta da Illustrazione
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Fonte: http://utopiarazionale.blogspot.it/2014/08/tra-inquinamento-guerre-fame.html
Barbara Saccagno
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