Origine
Eunomica è un aggettivo che trae la sua
origine da Eunomia.
Deriva da eu, (εὖ), il buono, il bene,
e nomos (νόμος),
ciò che è stabilito, legge, regola, canone, uso, prassi.
Ormai, tutti sapete da cosa deriva l’aggettivo Eunomica, e cosa significa Eunomia.
“Il buono ed il bene”, nel senso greco del termine, un’etimologia complessa che traduce la frase palindroma “ciò che è buono è bello, ciò che è bello è buono”, ossia ciò che rappresenta la perfezione della bellezza filosofica e ultra terrena, intesa come spazio platoniano delle “idee” nella loro pienezza, non sminuite dal riflesso di proiezione della lontananza dal vero.
Quella bellezza che i greci hanno fisicamente tradotto nella perfezione formale che ancora oggi è oggettivamente qualificata come “bella”, perché è eterna, immutabile e ancestrale, ossia contenuta nel nostro DNA cognitivo-visivo-emozionale; non è soggetta a kunstwollen o a moda (che altro non è che la maggiore frequenza di un valore, tanto per ricordarne il significato di ripetizione di un uguale valore…), perché non si limita a canoni estetici ma contiene "il buono", la "idea", il "vero", la "armonia universali.
Certamente aveva i suoi canoni artigianali ben codificati (giusto per ricordare che nella realtà antica l’artista era un artigiano di altissimo livello tecnico τεχνίτης ma pur sempre artigiano, colui che sapeva plasmare la materia e la conosceva nel suo profondo, oltre che a padroneggiare le regole matematiche, fisiche e chimiche che regolano la magia dell’arte quale prodotto finito).
L’arte greca era matematica, una
costante ricerca di rapporti armonici equilibrati che davano all’opera la
bellezza umana che, pur cristallizzata nella materie, trasponeva la natura, con
i gradi di distanza dal “Vero” ideale. Però, è pur certo, che la matematica
veniva accordata all’armonia generale, quella che coglieva l’occhio e la mente
umana, fallace nella sua finitezza e finita particella nell’infinito ignoto, quella
perfezione che cogliamo, esempio calzante quello delle architetture greche,
guardando le strutture imponenti eppure in perfetta proporzione con il creato e
con l’uomo (che non si sente sperso granello al suo interno ma elemento
perfettamente in armonia con il tutto) che seguono misure matematiche
codificate, non possiamo non ricordare che sono piegate (nel senso vero del
termine, le colonne non sono mai perfettamente dritte ma inclinate leggermente
verso l’interno per farle percepire ai nostri occhi lineari) all’errore
programmatico del nostro campo visivo.
La perfezione assoluta non
esiste, la percezione della perfezione attraverso il bello ed il buono in
armonia con l’idea, che contiene valori assoluti che, indipendentemente dalle
storture possibili, non mutano è alla base di un percorso di costruzione
dell’eunomia.
Bello e buono, buono nel senso di
giusto, ciò che è giusto a prescindere dalle velleità umane ma lo è nel respiro
del mondo; senza andare a perdersi in filosofie astratte, e perdute nelle
pieghe dei millenni, ci sono valori “buoni” che possediamo sin dal nostro
apparire alla vita e che regolano nell’armonia i rapporti, le azioni e i
pensieri. Il problema è semmai l’allontanarsi dall’ideale (sempre nel senso
platoniano) per percorrere strade lastricate da disarmonie e da disequilibri di
scala.
Ora, a scanso di equivoci, tutta
questa antichità non è per raccontare una storia cristallizzata, non ripetibile
e chiusa, ma per ricordare che l’Eunomicità è un valore base per ritrovare
l’armonia che rimetta al centro esseri viventi e natura in un rapporto di
reciprocità che non sia lesivo né coercitivo ma collaborativo e di rispetto.
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