Uno dei fondamenti logici del pensiero economico moderno e
contemporaneo risiede, secondo me, nella
“Legge di Necessità”.
Per
comprendere la portata di questo concetto è utile prima andare alla radice del principio
morale e pratico dell'agire economico che è molto semplice - come del resto
quasi tutto nel pensiero economico - ed è riconducibile ad una o tutte le
seguenti sentenze:
ü Tutti
fanno quello che possono con gli strumenti che hanno
ü Ognuno cerca di massimizzare il proprio
profitto con tutti i mezzi che possiede
ü La
felicità consiste nel poter elevare la propria condizione senza limiti di sorta
ü La
democrazia è il sistema sociale in cui tutti possono essere felici perché sono
liberi di elevarsi senza limiti
Si
tratta di affermazioni che tutti sottoscriveremmo a cuor leggero: come non essere d'accordo con libertà, felicità,
massimizzare e strumenti?
Ehi, un momento, c'è qualcosa di
strano?
Sì, perché
mentre con “libertà” e “felicità” (quasi) ci capiamo, con “massimizzare”
e “strumenti” arriviamo al classico
dilemma della mia libertà contro quella degli altri e cominciamo a
chiederci fino a che punto sia lecito “massimizzare” e di quali “strumenti”
stiamo parlando: legali/illegali, normali/violenti, leciti/illeciti...
Non
ce ne siamo neanche accorti e siamo caduti nel moto ondoso della discussione
filosofica!!!
Siamo attaccati a pezzi di legno che galleggiano a stento, ovvero i concetti che ci stiamo formando, che ci abbandonano sul più bello e ci lasciano in balia delle onde della confusione!
I marosi ci minacciano, le
oscurità marine sembrano ospitare esseri non amichevoli e noi possiamo contare
solo sulle nostre braccia ma non si vede la terra, è notte, siamo soli....
A
questo punto, l'economista, già stufo di tante
chiacchiere, si alza e dichiara
semplicemente che l'unica sentenza veramente utile è che :
Tutti operano necessariamente
per il proprio massimo interesse, con i mezzi
fisici, intellettuali, morali, sociali, politici, all'interno delle leggi e/o
usi dei gruppi umani e nazionali in cui si trovano ad agire: se esiste contrasto fra leggi e usi non è
cosa che riguarda l'economia ma la giustizia e lo stesso vale per la
definizione dei limiti etici, morali o di legittimità individuale o politica.
Non possiamo che addentrarci nella foresta vergine, necessariamente...
LA FAVOLA DI TEMPEH, IL MONACO
Grossi
insetti ci girano intorno volando e strisciando, - saranno pericolosi? - strani
movimenti scuotono il fogliame – chissà quale animale sarà? - abbiamo bisogno
di un riparo e di acqua, le prime cose che occorre procurarsi necessariamente,
poi il cibo poi capire dove siamo, quindi cercare di tornare a casa...
Ma
cosa c'è lì?
Un filo di fumo!
Dove
c'è fumo c'è speranza, ci saranno degli uomini, ma come saranno?
Socievoli
o selvaggi indiavolati magari arrabbiati con l'uomo bianco?
È qualcosa che non può restare senza risposta, si deve necessariamente andare ma di nascosto, sarà meglio prima studiare la situazione...
Il filo di fumo viene da una
capanna di giunchi appena distinguibile dalla vegetazione circostante, - quindi
c'è vita in questa foresta concettuale!
Eccolo, c'è un uomo con fattezze orientali,
piuttosto anziano che è appena tornato dalla pesca: ha l'aria affabile, sembra
bonario, dobbiamo rischiare, forza, facciamoci avanti...
Usciamo
dall'ombra e proviamo con un «Buongiorno»,
l'uomo ci vede, urla e fa per scappare,
ma inciampa e rovina per terra brutalmente... gli siamo vicini e cerchiamo di
alzarlo ma lui non ne vuole sapere, scalcia e grida di non ucciderlo – Beh, almeno parla la nostra lingua! -.
Cerchiamo
di tranquillizzarlo, siamo dei naufraghi, gli spieghiamo, non abbiamo nessuna intenzione di uccidere niente e nessuno – se non necessariamente
– (← questo era meglio non dirlo perché si agita di nuovo) e ci interessa solo
un riparo, dell'acqua e del cibo.
Se ci darà una mano, gliene
saremo grati...
Noi
siamo tanti, lui è da solo e necessariamente
decide di aiutarci.
Ci
chiede, però, qualcosa che non comprendiamo: «Vi hanno mandato loro?».
Dopo
averci rifocillato per bene e sistemati a dovere, è il momento delle
presentazioni e dei chiarimenti.
Il vecchio si chiama Tempeh ed
era/è un monaco.
Dice
di aver perso il conto di quanto tempo sia trascorso da quando si è nascosto
nella foresta concettuale.
Noi
non capiamo ma gli chiediamo di raccontarci la sua storia.
Tempeh viveva in un monastero
ai margini di un vasto regno, in una provincia felice
dove tutto era regolato dai monaci che amministravano i beni di tutti con molta
prodigalità e cordialità: tutti i beni e
i servizi erano prodotti dalla società locale che non trascurava comunque
importanti scambi e commerci con le altre province.
Tutti erano felici
e realizzati ma un brutto giorno, il
regno fu minacciato da altri sovrani e il re che non si era mai fatto sentire o
vedere da quelle parti, inviò i suoi uomini per le tasse.
La
questione era del tutto nuova per quelle contrade felici ma sostanzialmente questi volevano dei soldi perché il re ne
aveva bisogno e siccome era padrone di tutto ciò che li circondava e, in
definitiva, anche delle loro persone, ne
aveva necessariamente tutti i
diritti e poteva disporne come
voleva:
qualcuno, più istruito, cercò di opporre qualche
tentativo di resistenza ma non riuscì nemmeno a finire il ragionamento che
i nuovi arrivati gli avevano inviato una cartella esattoriale.
Nessuno ci
capiva niente ma il saggio intervento
del Grande Monaco aveva trovato la giusta soluzione: che si chiarisse presto di che cifra si stava parlando e avrebbe
provveduto il monastero a raccoglierla e inviarla. Gli emissari del re,
soddisfatti, se ne tornarono a corte e presto inviarono la loro risposta: un
documento molto strano dal nome in sigla e corredato di modulistica incomprensibile
ma, d'altra parte, molto chiaro in fatto di dovuto.
Il
Grande Monaco tradusse per tutti: tranquillizzò gli animi, era sì una cifra molto alta ma anche molto ragionevole, se divisa fra
tanti se non tutti.
Insomma
nessun cambiamento sostanziale nella vita di ognuno, solo
bisognava dare necessariamente qualcosa di quanto si produceva al re,
tutto qui: e ogni anno.
Si
tirò un respiro di sollievo e si festeggiò.
Occorreva qualcuno che portasse
i soldi al re, alla capitale.
Non
un gran viaggio ma neanche una passeggiata.
Il Grande Monaco incaricò subito Tempeh di questo: Tempeh era ritenuto molto affidabile nonché il futuro successore del Grande Monaco stesso, chi più di lui?
Il Grande Monaco incaricò subito Tempeh di questo: Tempeh era ritenuto molto affidabile nonché il futuro successore del Grande Monaco stesso, chi più di lui?
Necessariamente lui.
Così
Tempeh partì in brevissimo tempo e appena uscito
dai confini della provincia venne
assalito da una banda di briganti e
spogliato di tutto, soldi compresi.
Riuscì
a tornare a stento.
Come
non capirlo?
Il Grande Monaco
non si perse d'animo e riuscì a rimettere insieme le finanze necessarie ma questa volta inviò con Tempeh una nutrita
scorta di soldati appositamente arruolati.
Per
quell'anno si riuscì a pagare ma l'anno
seguente si ripropose il problema e ci si rese necessariamente conto che
non si poteva inviare ancora un contingente di armati perché il costo era
troppo alto e soprattutto bisognava rientrare anche del doppio pagamento
delle tasse dell'anno precedente.
Il Grande Monaco
non poteva chiedere a Tempeh di recarsi di nuovo da solo alla capitale con
tutti quei soldi: prese accordi con una
banca che applicando necessariamente un interesse accettò di effettuare
il pagamento direttamente all'erario reale.
Tempeh
avrebbe dovuto solo portare la cambiale e tornare con la ricevuta del
pagamento.
Un
gioco da ragazzi...
Il giorno
dell'arrivo presso la sede della banca con cui si era firmato l'accordo, il direttore chiamò Tempeh e lo pregò di
considerare la possibilità di investire quel denaro per qualche giorno in un
prodotto finanziario innovativo.
In
pratica, si trattava di lasciare il denaro a disposizione della banca e di
spostare l'operazione di pagamento delle tasse di qualche giorno.
In
cambio la banca si impegnava a non praticare il tasso di interesse già previsto
dal contratto e a riconoscere una piccola commissione.
Tempeh
non poteva credere alle proprie orecchie: sarebbe tornato a casa da vincitore e
tutti si sarebbero dimenticati di quello che era successo l'anno prima!
Chiese necessariamente
delle garanzie e dato che non poteva discuterne
con il Grande Monaco – il nuovo accordo finanziario era da chiudere subito
altrimenti niente, si sa come funziona la finanza no? - pretese delle clausole
in più all'interno del contratto.
Il
contratto venne firmato con grande attenzione e rivisto da tutti i contraenti
con estrema accortezza per poi essere
completamente disatteso alla scadenza...
Semplicemente
la banca non restituì i soldi che erano finiti necessariamente in un
giro speculativo – come previsto dal contratto – da cui non erano recuperabili - si sa come
funziona la finanza, no? -.
A
Tempeh non rimase che tornare dalla
sua gente con grande vergogna.
Il Grande Monaco lo ammonì severamente: venne processato ma si dimostrò necessariamente la buona fede di Tempeh e soprattutto che il contratto era regolare e non prevedeva la truffa.
Il
re intanto si dimostrò meno disponibile della volta precedente
e richiese il pagamento del doppio delle tasse annuali perché – così
diceva l'ingiunzione dell'erario reale – non si poteva non tenere conto
necessariamente dei contribuenti in regola con il versamento delle tasse
rispetto a quelli che non lo erano: se
non si potevano necessariamente premiare i primi, andavano necessariamente
sanzionati i secondi.
Ma c'era di più: si trattava di una pratica corrente dell'erario reale che anzi la incoraggiava (e necessariamente ci guadagnava).
Il Grande
Monaco, scagionato completamente Tempeh, propose quindi di fare causa
all'erario reale e alla banca.
Rispetto al processo in atto,
il re dichiarò di voler aspettare necessariamente il verdetto
nutrendo piena fiducia nelle istituzioni preposte.
Tempeh
però non si diede per vinto e consapevole di essere stato causa, suo malgrado,
di quel disastro si recò alla capitale, con il permesso del suo monastero, e si mise a lavorare con grande tenacia a
diversi progetti economici con il preciso scopo di recuperare il denaro
perduto.
Il
Grande Monaco che seguiva con grande interesse il
suo operato, raccolse anticipatamente il
denaro dovuto all'erario e glielo inviò perché lo investisse nelle attività
promettenti che Tempeh era riuscito a mettere in piedi.
Nel
giro di qualche mese, grazie
all'intervento opportuno di diversi soci, Tempeh era riuscito nell'impresa di
generare un capitale superiore del doppio rispetto agli investimenti:
avrebbe consegnato le tasse dell'anno per conto della sua gente e sarebbe
ritornato con un capitale da mettere a frutto nuovamente o di cui disporre per
un altro anno.
Necessariamente si sarebbero dimenticati di
quanto gli era successo e di tutte le brutte storie
degli anni prima e lui sarebbe tornato ad essere il monaco che era, il migliore,
il predestinato al soglio...
Il giorno previsto per il
versamento all'erario delle tasse annuali, Tempeh scoprì che un socio era
fuggito con la cassa e al posto di questa trovò un
semplice biglietto in cui il malfattore così si esprimeva:
«Tempeh, sono molto dispiaciuto, tu sei
un'ottima persona, ma io sono oppresso dai debiti e questo denaro mi salva la
vita: ho dovuto farlo. Necessariamente».
Tempeh
per un momento si dimenticò di essere un monaco e non riferiremo che cosa disse
in quel frangente ma, sbollita la rabbia, si rese conto che non poteva tornare
a casa anche perché non sarebbe riuscito a dimostrare la sua buona fede e il re
sarebbe stato ancora meno comprensivo delle altre volte.
Si diede alla macchia
e di peregrinazione in peregrinazione arrivò
nella foresta concettuale dove lo abbiamo trovato noi...
Che
dire? Una storia come tante, una situazione comune, forse una leggerezza da una
parte e un po' di mancanze dall'altra, magari un'epoca ancora troppo arcaica
per il diritto come lo conosciamo oggi ma una cosa è certa: se contiamo quante volte è apparsa la parola necessariamente,
dobbiamo concludere che i personaggi in gioco non avevano molto spazio di
manovra.
Necessariamente!
LA LEGGE DI NECESSITÀ
Proprio
questo è il punto: quando esaminiamo i comportamenti
umani secondo la legge di necessità, questi diventano standardizzati non
(solo) perché prevale un certo spirito pratico-
concreto prossimo al cinismo che viene con l'età, ma perché si devono immaginare relazioni causali concepite con lo
specifico compito di “tenere” nonostante tutto.
Siamo indotti a questo perché dobbiamo prevedere come andranno le
cose e non possiamo affidarci al buon cuore di alcuni o alle
pie intenzioni di pochi se non alle rette azioni dei santi, rari, questi
ultimi, quanto le mosche bianche.
No, noi dobbiamo parlare di masse e di comportamenti di massa e
scommettere su quali saranno le azioni più probabili.
Si
arriva alla legge di necessità perché diventa insostenibile l'alternativa:
non si possono fare processi alle intenzioni e nemmeno si può perdere tempo a
ricercare tutte le cause e gli effetti che ne derivano.
Si rimane semplicemente su di un terreno comune che sa di buon
senso e di probabilità ovvero una dimensione la cui frequentazione non richiede
eccessivo sforzo o capacità fuori dal comune: si parla delle
cose per come è naturale che avvengano se si
assume il principio che gli esseri umani sono
imperfetti e che non faranno le cose che dicono di voler fare ma si
assesteranno su di un piano d'azione in cui il confronto fra guadagni e perdite e quello delle possibilità rispetto alle difficoltà saranno i punti
cardinali.
In
seguito all'analisi semplice di questi fattori avremo
le azioni più probabili e quindi quelle che si
realizzeranno e sulle quali scommettere...
Come
non vedere che questo
modo di pensare ci condiziona al punto da determinare la realtà stessa in cui
viviamo come la famosa profezia che si autoavvera?
Come
non capire che la povertà intellettuale (se non morale) con cui trattiamo ogni
tema della nostra esistenza individuale e collettiva diventa essa stessa la
causa della povertà economica (se non morale) in cui ci dibattiamo?
Se tutti ci
aspettiamo di essere in un mondo in cui è facile “essere fregati”, perché
dovremmo fidarci di quelli che promettono di aiutarci a non esserlo tramite
contratti e rapporti diversi dal solito?
Non saremo indotti
sottilmente a rimanere nelle (poche) cose che conosciamo
e che si sono rivelate sufficientemente affidabili da non deludere (del
tutto) le nostre aspettative?
Che
tipo di economia sarà allora quella della sfiducia e della necessità?
L’ECONOMIA DELLA SFIDUCIA E
DELLA NECESSITÀ
Sarà
banalmente quella in cui le relazioni sono costruite sulla tutela che deriva dagli
strumenti coercitivi che il diritto mette a nostra disposizione ma siamo
davvero e comunque esposti alla deriva degli elementi intercorrenti di volta in
volta!
Mi
rendo conto di non essere convincente perché
non si vede altra via ma pensiamo ai fatti di cui siamo testimoni da
anni e, con prospettiva storica, da secoli.
Finanzieri di grande capacità che
sembrano riuscire a trarre denaro da ogni attività umana - anche la più
improbabile - finché non commettono quell'errore che li espone al rischio e al
ritiro.
Grandi banche, giudicate sicure del
fatto loro, tanto da essere vissute come inaffondabili che invece affondano e
buttano a mare il carico a partire dall'equipaggio!
Multinazionali dotate di grande
profittabilità, ogni loro azione o obbligazione sembra economicamente onorevole
e onorata ma che, alla prova dei fatti o alla lunga, si rivela non solo
non
essere tale ma addirittura prossima alla truffa!
Aziende semplicemente solide in cui
qualcuno scappa con il denaro o lo nasconde affrontando processi interminabili
dai quali sembra uscire vincitore o (molto) poco perdente.
Imprese di grande successo e impatto
grazie al benvolere della politica che con interesse intercede spesso e
volentieri in loro favore o soccorso, con grande danno sociale.
Patrimoni personali enormi di
imprenditori, finanzieri, capitani d'industria di attività già finite o fallite
reinvestiti in attività finanziarie globali non del tutto chiare e con margini
di guadagno impossibili per il 99,9% della popolazione mondiale.
Stati sovrani che si comportano come tali
- nel senso di monarchi – nei
confronti dei contribuenti ordinari e come questi ultimi nei confronti di
semplici imprese pur di grandi dimensioni.
Contratti finanziari ideati per non
dare ma per trattenere il capitale il più a lungo possibile senza pagare
interessi.
Lo
slide show potrebbe andare avanti all'infinito perché gli esempi e i fatti
sottostanti si moltiplicano.
A questo punto, dotati di
logica ordinaria, saremmo indotti a pensare che allora è vero che non bisogna
allontanarsi dalla legge di necessità, non fidandosi di
nessuno e cercando a nostra volta di metterci in una posizione di vantaggio
relativo da cui non possiamo essere stanati se non a colpi di impugnazione
contrattuale.
Eppure
tutti questi fatti sono proprio avvenuti in regime di necessità e non di
fiducia:
se non è corretto affermare che essi sono derivati esattamente dalla mancanza
di fiducia e dalla percezione negativa dei rapporti umani sottostanti ai
contratti, è però doveroso osservare che i due appena citati elementi sono
almeno implicati nel clima in cui il danno si verifica.
Se
non posso fidarmi del mio socio, come posso avviare un'impresa con lui?
Se
non ci sono rapporti vicini all'amicizia per la gestione di un'attività quali
probabilità ho di superare le naturali difficoltà che ogni impresa porta in
dote, dai casini semplici banalmente legati all'ordinarietà fino alle tegole
difficilmente prevedibili?
D'altra
parte, non è con il condonarsi quasi tutto come spesso gli amici, (quelli
veri), fanno, che si può avviare e promuovere un'attività commerciale ed
economica: ci sono degli impegni da assumere, delle
azioni da portare a buon fine e delle pratiche da seguire, senza i quali
comunque l'agire economico rimane vano nei propositi e negli obiettivi.
LA STORIA DELL’ECONOMIA È UNA
STORIA UMANA
La storia dell'economia è solo una storia umana e non è, né deve
essere, una brutta storia con il finale “e
tutti rimasero falliti
e scornati tranne uno o pochi che si salvarono scappando con il malloppo”:
È una storia di
relazioni, come tutte le altre, in cui le
aspettative, i processi decisionali, le incongruenze, le debolezze, le
grandezze determinano i fatti che, spesso dopo attenta analisi, derivano non
dalle azioni ma dalle qualità impiegate veramente.
Queste preesistono
alle intenzioni forgiandole.
L'intenzione poi
influenza il processo decisionale che risulta dotato
di ulteriori qualità determinate in buona sostanza dalle stesse qualità dei
gruppi umani toccati in qualche modo dalle relazioni che intervengono: su
queste piovono anche le opportunità, i modi di pensare
comuni, le eccezionalità di certi che condizionano in un senso o nell'altro.
Ed
ecco arrivare i
fatti.
Questi
non sono stati
dettati da una necessità ma da una complessità di relazioni non negative di per
loro ma facenti capo a nodi stretti e tirati con determinate qualità.
Di queste si deve parlare se si vuole costruire qualcosa di solido
e l'economia non fa eccezione, anzi:
è la prima disciplina a dover essere
sociale, necessariamente.
Francesco Bernabei
Credits
Eunomica (Pria Biella, Soprana, Bordighera, Place Messena, Museo Martini
Pessione, Bonda, Museo Gran San Bernardo, Lampioni Chiavari – B. Saccagno).
Vettorialigratis.it (Pittogram signs – All Silhouettes; 30 icone educazione scuola
educational icon set)
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